Cultura

Cucire le pagine di una rivista e le relazioni con altre donne

Cucire le pagine di una rivista e le relazioni con altre donneUn ritratto di Letizia Battaglia - foto di Taylor Jewell/Invision/AP

«MEZZOCIELO» Fondatrice nel 1992 e poi alla direzione, le sue idee erano sempre sorprendenti

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 15 aprile 2022

Maggio 1992. Sei mesi dopo l’uscita del primo numero di «Mezzocielo», Giuliana Saladino, fondatrice della rivista con Simona Mafai e altre, di fronte all’orrore delle stragi di Capaci e via D’Amelio cerca le parole per «scalfire la realtà che faceva a brandelli». Letizia Battaglia, fondatrice e poi direttora, seppe intercettare quel bisogno mostrando attraverso le foto la lingua del dolore, l’unica allora in grado di dire senza cadere nella retorica e in un linguaggio usurato, corazzato, contrapposto.

LE SUE IMMAGINI, drammatiche ma mai scontate, realistiche e visionarie al contempo, che raccontano la morte e la miseria, sono anche un inno alla vita e all’amore, interpretando lo stato d’animo delle redattrici che non si arrendono al trauma e vogliono scommettere in un futuro prossimo. Molte sono le foto di boss di mafia uccisi, ma mai presi dall’alto. «M’inginocchio sempre quando fotografo la morte, uso uno sguardo misericordioso nei confronti del perdente, anche se è un boss, perché solo l’amore può salvare questa terra del sud». Uno sguardo amoroso, che grida giustizia. Uno sguardo ambivalente, non binario, né oppositivo, aperto alla speranza.

È questo il filo rosso con cui Letizia ha cucito le pagine della rivista nel corso degli anni. Cambiando spesso formato, caratteri, impaginazione, usando accostamenti bizzarri di colore, sintonizzati e adattati allo spirito del tempo. Com’era lei. Forme mutevoli, dissacranti, che disorientavano le lettrici, e soprattutto il tipografo e l’impaginatore. Non scriveva articoli, o scriveva pochissimo: diari e reportage da terre lontane, lo Zaire, o da dentro i manicomi e le carceri, dove a soffrire di più sono bambine e adolescenti, i suoi preferiti. Gli adulti preferiva ritrarli nell’opulenza ostentata e putrefatta delle ricche case nobiliari di Palermo o nella fatiscenza dei vicoli. Preferiva accostare più che scrivere. I temi della rivista: guerre, ingiustizie, vecchie e nuove schiavitù, infanzia violata, racket, mafie, acquistavano forza e venivano resi vivi e più drammatici dall’accostamento delle sue immagini.

NEL 2014 antiche foto di volti, il corpo nudo di giovanissime donne, vengono da lei rielaborate e innestate in scene di morti ammazzati, di miseria e abbandono, dando un altro «taglio» alla scena, e costringendo chi guarda ad uno «spostamento», a prefigurare un altro mondo possibile. Immagini contaminate e contaminanti, com’era lo stile di scrittura della rivista, tra narrazione, saggio, riflessione. Parole incarnate, mai imparziali, come le foto di Letizia, mai obiettive, ma esposte. Foto di testimonianza e insieme di assunzione di responsabilità, com’era nello spirito della rivista.

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