Fin dall’adolescenza l’artista Tschabalala Self ha osservato la performatività, il modo di parlare e di muoversi della Black community di Harlem. Conversazioni con vicini di casa, amici e sconosciuti incontrati per strada sono stati trasformati in dipinti, installazioni e sculture dalle iconografie immaginifiche. Una ventina di queste opere sono raccolte nella mostra Around the Way, ospitata a Emma, Museo d’arte moderna di Espoo, in Finlandia.
Titolo perfettamente coerente con le opere esposte, perché Around the Way è una forma colloquiale afroamericana usata per descrivere una persona che vive nel tuo quartiere e incarna l’essenza di quel luogo. Quinta figlia di genitori che hanno vissuto sulla propria pelle la segregazione razziale e la progressiva integrazione Self, nata nel 1990 ad Harlem, indaga le dinamiche razziali che dividono l’America.
«HO INCONTRATO l’arte e la cultura visiva per le strade di New York, nella quotidianità – racconta l’artista –. Quando ero adolescente c’erano molti ambulanti sulla 125/a Strada che vendevano riproduzioni di lavori di Ernie Barnes, Jacob Lawrence, Romare Bearden e Charles Alston. Da ragazzina non sapevo chi fossero questi artisti, ma li vedevo ogni giorno, erano parte dell’immaginario in cui mi identificavo. Crescendo, ho apprezzato ancora di più il valore di quelle opere». Gli artisti citati hanno segnato lo sviluppo della scena culturale afro-americana. Fu parte attiva dell’Harlem Renaissance, Charles Alston (1907-77). A lui e ad altri sei artisti la Works Progress Administration affidò la realizzazione dei murales dell’Harlem Hospital Center nel 1936. Anche se inizialmente censurate, le immagini proposte dagli artisti mostravano la comunità locale e le storie della diaspora africana, dai villaggi africani del XVIII secolo alla schiavitù in America, alla progressiva libertà nel XX secolo. È suo il busto di Martin Luther King Jr., la prima opera d’arte dedicata a un afroamericano esposta alla Casa Bianca. Altrettanto impegnato fu Romare Bearden (1911-1988) che partecipò della fondazione dello Studio Museum di Harlem, e i cui collage hanno mostrato le lotte per i diritti civili negli anni sessanta.

IL SUO STUDIO si trovava all’Apollo Theater di Harlem, luogo leggendario in cui hanno suonato Cab Calloway, Ella Fitzgerald, Billie Holiday e Sarah Vaughan per ricordarne solo alcuni. Nel 1941 Jacob Lawrence, appena 23enne, realizzò sessanta dipinti sulla Grande Migrazione degli afroamericani dal Sud rurale al Nord urbano, serie che ha radicalmente reinventato la pittura di storia. Un anno dopo, con la segregazione razziale in pieno vigore, il MoMa di New York acquisì alcuni suoi dipinti, i primi di un artista black.
«Pensavo esistesse la bandiera dei neri americani – afferma Self – perché era esposta allo Studio Museum e sempre sventolata all’African American Day Parade. Solo in seguito ho scoperto che si trattava invece di un’opera d’arte di David Hammons». Around the Way raccoglie sculture, il video della performance Sounding Board, commissionata dalla Biennale Performa di New York e installazioni pittoriche. In queste ultime, Self contamina la pittura a olio, la stampa e il quilting.

SUI DIPINTI INSERISCE stampe su carta, frammenti di tessuti africani o di ispirazione africana cuciti direttamente sulla tela, su cui a volte interviene con ricami. Costruisce ambienti immersivi che invitano gli spettatori a confrontarsi con temi legati all’identità razziale e alla rappresentazione del corpo delle donne black. I suoi tableaux ricordano la forza gestuale di Francis Bacon e le opere di artiste afroamericane della generazione precedente che hanno lavorato su supporti tessili, come Dindga McCannon e Faith Ringgold. Anche se quest’ultima è conosciuta principalmente per i suoi libri per bambini, ha realizzato dipinti e installazioni tessili straordinarie, occupandosi di questioni razziali sempre da un punto di vista femminile.

TRA LE OPERE esposte colpisce 12pm on 145th Street, trittico di grandi dimensioni che rende omaggio al trambusto di un incrocio di Harlem. Le tre tele sono uniformate dai disegni dei mattoni rossi degli edifici, da cui emergono figure antropomorfe che dialogo tra loro. Altri dipinti come Harlem Sphinx ritraggono situazioni più intime, una donna che legge all’interno di una casa borghese, anche se dalla finestra si intravede il contesto urbano cittadino. In questa e in altre opere l’attenzione dell’artista si sposta dallo spazio pubblico alle scene domestiche. Si ha la sensazione di entrare nella sfera privata degli individui ritratti, di osservarli in momenti di intimità, mentre le opere scultoree rendono tridimensionali le donne ritratte.
«Ho immaginato la mostra come un dispositivo narrativo in cui si attraversa prima lo spazio pubblico, poi si entra nelle abitazioni dei personaggi incontrati per strada. Un processo di avvicinamento situato e astratto allo stesso tempo. La casa è per me uno stato mentale, non solo un luogo fisico», sostiene Self.
Visitabile fino al 5 maggio 2025, Around the Way non è l’unica mostra ospitata nel museo. Altrettanto interessante è la personale An Order Apart della polacca Monika Sosnowska, e la collettiva Experiments in Concretism, che celebra il centenario della nascita di Lars-Gunnar ’Nubben’ Nordström (1924-2014), pioniere del concretismo finlandese.
Emma è il più grande spazio espositivo della Finlandia, si trova a soli 20 minuti dal centro di Helsinki, nel quartiere Tapiola di Espoo. È un gioiello di architettura brutalista, un ex-tipografia che copre oltre 6000 mq, progettato negli anni ’60 da Aarno Ruusuvuori. Trasformato in museo nel 2006, accoglie oltre alle mostre temporanee la Saastamoinen Foundation, la collezione Kakkonen e la Tapio Wirkkala Rut Bryk Foundation. La prima colleziona artisti finlandesi e internazionali contemporanei, mentre l’archivio di Rut Bryk (1916-1999) e Tapio Wirkkala (1915-1985), figure centrali dell’arte e del design finlandese, è raccolto in Visible Storage, lo spazio a loro dedicato. La Collection Kakkonen comprende oggetti in ceramica e vetro progettati da maestri come Alvar Aalto e da designer emergenti. I primi pezzi risalgono alla fine del XIX secolo e i più recenti sono in fase di realizzazione.

Futuro house (Matti Suuronen)

NEL GIARDINO del museo è esposta una Futuro House. Ideate in plastica come case di vacanza trasportabili nei tardi anni ’60, l’iconografia space age delle Futuro House testimonia la seduzione, tipica di quegli anni, per la conquista dello spazio, anche se in realtà – ha sostenuto il loro ideatore Matti Suuronen – la forma era determinata da calcoli matematici e non da ricerche estetiche. Le Futuro House furono fotografate e pubblicate da Playboy, amate da Andy Warhol e dall’artista Christo, ma la crisi petrolifera del 1973 ne interruppe la fabbricazione proprio nel momento del riconoscimento internazionale. A loro, il regista Mika Taanila ha dedicato il documentario Futuro – A New Stance for Tomorrow. Sono nel tempo diventate oggetto di culto e da collezione. Altre Futuro House sono conservate all’Università di Canberra e al Boijmans Museum di Rotterdam.