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Csm, per Cartabia la riforma è «la più urgente»

Csm, per Cartabia la riforma è «la più urgente»La ministra della giustizia Marta Cartabia – Ap

Giustizia La ministra incontra la maggioranza: «Qualcosa si è rotto nel rapporto tra magistratura e popolo e occorre urgentemente ricostruirlo». La commissione Luciani presenta le sue proposte: spiragli per il ritorno in magistratura di chi si candida (non piace e Forza Italia e M5S), separazione netta delle funzioni tra giudici e pm. Per Letta i referendum di Salvini e radicali sono «lo strumento sbagliato»

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 5 giugno 2021

«I fatti di cronaca che hanno riguardato la magistratura nei mesi recenti hanno reso improcrastinabili e più urgenti gli interventi. Qualcosa si è guastato nel rapporto tra magistratura e popolo e occorre urgentemente ricostruirlo». Così introdotta dalla ministra Marta Cartabia, un’altra riforma della giustizia si apre davanti alla maggioranza. Riguarda questa volta l’ordinamento giudiziario e il Consiglio superiore della magistratura. Cioè il vero tema sollevato dallo scandalo Palamara e dal corto circuito Storari-Davigo con i verbali di Amara. Anche questa riforma è indicata nel Pnrr ma non avrà effetti sulla durata dei processi come quelle dei riti civile e penale. Qui un’intesa è più semplice – o meno difficile. Tanto che ieri la presentazione ai rappresentanti della maggioranza delle proposte dei saggi incaricati dalla ministra Cartabia è scivolata via senza intoppi. Se tutti i partecipanti hanno tenuto a dire che l’incontro è stato «interlocutorio» è solo perché il comitato guidato dal costituzionalista Massimo Luciani non ha ancora condiviso un testo. Si rivedranno.

Restano alcuni nodi da sciogliere e allora partiamo da questi. Il primo riguarda il ritorno in magistratura di giudici e pm che hanno svolto un mandato elettivo o di governo. Il testo base all’esame della camera dei deputati, quello firmato dall’ex ministro Bonafede, sbarra la porta: basta un anno in parlamento per “condannare” i magistrati a un «ruolo autonomo» (non meglio precisato) in qualche ministero. Addio toga. Luciani ha spiegato che questa soluzione presenta rischi costituzionali. La sua commissione immagina una porta socchiusa: ritorno possibile ma solo in incarichi collegiali. Restano fermi gli altri limiti già previsti anche per chi si candida ma non viene eletto: per tre anni non potrà fare il gip o il pm e non potrà accedere a incarichi direttivi o semi direttivi. In più i saggi di Cartabia raddoppiano, rispetto al testo base, il periodo di aspettativa che deve precedere la candidatura: non due ma quattro mesi. E resta il divieto di candidarsi nelle sedi dove si è esercitato il mandato negli ultimi due anni, non solo per il parlamento ma anche per la guida di una regione o di un grande comune (niente più casi Maresca a Napoli). La soluzione è comunque rigorosa ma ai 5 Stelle non va bene, forse perché Luciani l’ha così presentata nel (video) incontro di ieri: «Non abbiamo indebolito il rigore del disegno di legge Bonafede, ne abbiamo rovesciato l’impostazione». Scontenti sul punto anche i rappresentanti di Forza Italia.

Non è piaciuto invece al Pd che tra le proposte della commissione Luciani non ci sia quella di limitare le esternazioni dei magistrati inquirenti, vietando le conferenze stampa in cui gli indagati vengono presentati come colpevoli e sostituendole con scarni comunicati stampa. È già previsto» hanno spiegato i saggi, ma i dem non concordano e hanno (non da soli) già presentato un emendamento al testo base. Il Pd invece apprezza che la commissione abbia ripreso due proposte di Luciano Violante (giovedì la ministra ha presentato il suo ultimo libro): l’Alta corte per i giudizi disciplinari sulle toghe (oggi affidati al Csm) – rinviata però a un futuro disegno di legge costituzionale – e la nomina del vice presidente del Csm da parte del presidente dello stesso organo, cioè il presidente della Repubblica (che dovrebbe così scegliere, probabilmente con qualche imbarazzo, tra consiglieri laici votati da differenti forze politiche). Il caso del vicepresidente del Csm condiziona anche una delle scelte più attese, quella sul nuovo sistema elettorale della componente togata del Consiglio. Luciani conferma la sua vecchia opzione per il sistema di voto singolo trasferibile, che in pratica travolge le liste e quindi può penalizzare le correnti. Il recupero delle proposte della commissione Balboni (1996) sarebbe pieno, quindi anche con il voto di metà mandato per rinnovare il 50% del Consiglio, se non fosse che il vicepresidente in carica per tutti i quattro anni complica la soluzione.

La commissione suggerisce anche di introdurre «puntuali parametri e indicatori attitudinali» per le valutazioni di professionalità delle toghe e il conferimento degli incarichi direttivi e semi direttivi. Così è già previsto dalla Bonafede, ma non piace però al Csm che in un parere ha rappresentato il rischio di vedersi ridotto a organo burocratico, senza margini di scelta.

Una conferma rispetto al testo base è anche quella di consentire solo sue passaggi in carriera tra pm e giudice o viceversa (oggi se ne possono fare quattro), «una separazione di fatto delle funzioni che rende inutile, ove mai fosse ammissibile, il quesito presentato da radicali e Lega come “separazione delle carriere”» dice il relatore in commissione della riforma, il Pd Alfredo Bazoli. Contro i referendum sulla giustizia, che invece piacciono a diversi esponenti Pd (Bettini e Marcucci ad esempio) ha parlato ieri il segretario del Pd Letta: «Sono uno strumento sbagliato». Mentre il radicale di +Europa Riccardo Magi fa notare che il Pd, «invece di dividersi su questi referendum che riguardano aspetti procedurali che non incidono sulle grandi scelte di politica criminale – quelle che decidono chi va in carcere in questo paese – dovrebbe pensare a referendum abrogativi sulle droghe o la Bossi-Fini».

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