Una riforma che va fatta, ma che in tutta evidenzia non entusiasma nessuno dei partiti di maggioranza, neanche quelli che disciplinatamente da giorni accompagnano il testo su Csm e ordinamento giudiziario, un passo alla volta, verso la discussione in aula. Passi molto lenti, ancora ieri sera la commissione giustizia alla camera non aveva votato che la metà degli emendamenti e sub emendamenti frutto del faticoso accordo della settimana scorsa. A rallentare i lavori sono stati il (blando) ostruzionismo dell’opposizione e di un pezzo di maggioranza – Italia viva, che ha già dichiarato che alla fine si asterrà -, la riottosità della Lega che per seguire renziani e Fratelli d’Italia ha votato (senza effetti) tutto e il contrario di tutto, anche contro i pareri del governo e dei relatori, ma soprattutto la necessità di riformulare, riscrivere, correggere fino all’ultimo minuto i testi in votazione, prova definitiva di un accordo firmato per necessità ma senza convinzione.

Eppure, mentre la magistratura annuncia battaglia – il 19 la riunione del parlamentino delle toghe che potrebbe convocare uno sciopero, come ha chiesto ieri la corrente di sinistra Area, a 17 anni di distanza da quello contro l’ordinamento giudiziario firmato Berlusconi – a Montecitorio regge il gioco della «riforma possibile con questa maggioranza», giudizio attribuito alla ministra Cartabia al termine dell’ennesimo round di mediazioni. Il che non significa che sia una riforma in grado di raggiungere l’obiettivo dichiarato: rompere il correntismo delle toghe, rafforzare la qualità del servizio giustizia. Difficile che ci riesca la nuova legge elettorale per la componente togata del Csm, che poi è la vecchia legge degli anni Novanta (cambiata vent’anni fa proprio perché favoriva il correntismo) con una piegatura maggioritaria che inevitabilmente rafforzerà le prime due forze organizzate della magistratura.

Chiudere entro oggi in seconda commissione, con i pareri obbligatori delle altre commissioni e il voto del mandato ai relatori, è però una necessità della maggioranza alla camera, in modo da dare tempo agli uffici di rimettere ordine a quello che i deputati hanno votato e preparare il provvedimento per il primo punto dell’ordine del giorno dopo le feste, martedì prossimo in aula. L’urgenza è dovuta al fatto che a inizio luglio sono in programma le elezioni per il nuovo Csm e il presidente della Repubblica, che deve convocarle, ha più volte detto che non si possono tenere con le vecchie regole. Serve allora un passaggio alla camera «concordato», cioè senza fiducia come promesso da Draghi per ottenere il via libera dei suoi ministri a febbraio, entro fine mese, e una seconda e definitiva lettura al senato, stavolta con la fiducia, entro maggio. In modo da avere il tempo minimo per la convocazione delle urne (tempo che quattro anni fa fu di tre mesi, siamo già fuori).

«Con responsabilità stiamo cercando di raggiungere un giusto compromesso», ha detto ieri il presidente dei 5 Stelle Conte, accusando Italia viva che «si oppone a tutto» di «voler votare il nuovo Csm con le vecchie regole». Ma l’obiettivo dei renziani, così come dei leghisti, è soprattutto lanciare la campagna elettorale per i referendum giustizia, che si terranno prima, il 12 giugno. a. fab.