I partiti della maggioranza vanno ognuno per conto suo, ma il governo va avanti. Sepolti dall’astensione i referendum sulla giustizia, la parola torna al parlamento. La riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario – «ineludibile» nella parole del capo dello stato – è rimasta ferma un mese per consentire a Salvini di fare la sua campagna elettorale per i referendum, la fine è nota. Adesso però la ministra della giustizia Cartabia chiede ai partiti di consentire una rapida approvazione definitiva della riforma al senato. Tradotto: di ritirare gli emendamenti che, se approvati, imporrebbero un ritorno del testo alla camera per una terza lettura. La Lega, grande sconfitta ai referendum, risponde di no. E così Italia viva, che già alla camera si era dissociata. Solo 5 Stelle, Forza Italia e Leu lo fanno (il Pd non ne aveva presentati). Ma non succede nulla di clamoroso. La commissione giustizia inizia a votare, proseguirà stamattina. Gli emendamenti di leghisti e renziani vengono bocciati e amici come prima.

Il programma è chiudere entro la settimana, possibilmente già domani. «Senza fiducia», ha assicurato ieri mattina il ministro D’Incà, durante il vertice di maggioranza che non è servito a ottenere il passo indietro della Lega. «Con la fiducia» ha chiesto invece ieri sera Letta, al quale piacerebbe mettere Salvini nell’angolo. «La Lega ha voluto il referendum, l’ha perso, e continua a rendere impossibile la riforma della giustizia in parlamento», ha alzato la voce in tv il segretario del Pd. Sapendo però che non è così, come hanno dimostrato le prime votazioni ieri sera in commissione.

Italia viva ha presentato 88 emendamenti alla riforma della ministra Cartabia e 61 sono quelli della Lega. Dunque ci sarà da passarci un po’ di tempo. Ma con Forza Italia schierata a sostegno del governo insieme a Pd e 5 Stelle – una «maggioranza Ursula» in sedicesimo – problemi non ce ne sono ancora stati in commissione né dovrebbero esserci in aula. La Lega non fa ostruzionismo, si limita a tenere il punto anche se in questo modo smentisce il suo voto di aprile alla camera. Salvini è ancora alla ricerca di una strategia per riprendersi dalla serie di rovesci. Affida ai suoi quattro senatori della commissione giustizia una dichiarazione che più che orgoglio esprime impotenza: «Le nostre proposte sono migliorative e vogliamo che sia il parlamento ad esprimersi nel merito, come previsto dalla nostra Costituzione. Non possiamo ignorare il segnale di quei 10 milioni di italiani che hanno votato i referendum e hanno dato un’indicazione chiara in tema di giustizia». Il segnale, evidentemente, è arrivato assai più forte da tutti quelli che si sono astenuti e anche dai 9 milioni e 600mila che a votare ci sono andati, visto che una minoranza non piccola persino tra loro ha scelto di votare No alle proposte della Lega.

Normale che Letta tenti l’affondo sull’avversario – ma alleato al governo – in difficoltà. Chiaro che non voglia consentirgli di piantare bandierine sulla giustizia, come fa il partito di Renzi, senza pagar dazio. Normale anche che il governo pensi invece ad arrivare il più velocemente in fondo. Dopo aver accarezzato la possibilità di rispettare la scadenza naturale per le elezioni della componente togata del Csm, luglio, la ministra vuole evitare di veder sfumare anche la data di settembre. Il nuovo Consiglio dovrà insediarsi alla fine di quel mese e dunque è necessario avere la nuova legge elettorale, contenuta nel testo della riforma ma fuori dalla parte di delega, quindi immediatamente in vigore, al più presto in Gazzetta ufficiale.

La tempistica scandita nello stesso testo di riforma dice che il governo, fatta la legge, ha tempo un mese per approvare i nuovi collegi elettorali dei magistrati. Ma questo lavoro è sostanzialmente già fatto e quel tempo si può ridurre, quasi azzerare. Servono però altri due mesi per la convocazione delle urne, da qui l’esigenza di evitare la terza lettura. Oltre ai 20 nuovi togati, andranno eletti anche 10 (i numeri sono cresciuti con la riforma) nuovi consiglieri laici, cosa di cui si occuperanno le camere in seduta comune. Alle toghe, che contestano la riforma e avrebbero sperato anche loro in correzioni al senato, ma nel senso opposto a quelle volute dalla Lega, non piace molto l’idea di dover fare la campagna elettorale ad agosto. Ma le candidature delle correnti sono già tutte pronte.