Lukashenko, seppur con difficoltà, sta riuscendo a stabilizzare la situazione in Bielorussia. Il suo problema è tranquillizzare la situazione nelle fabbriche, il suo vero punto dolente.

Ieri si è presentato in un azienda agroalimentare per proporre la sua ricetta di ordine e disciplina per la Bielorussia del futuro. «Fare sciopero non significa allevare polli o mucche», ha gigioneggiato con un’operaia tutta orecchie, davanti alle telecamere. Ha parlato apertamente anche di crumiraggio su scala internazionale: «Se non lavoreranno i locali di Salihorsk (i minatori della città in sciopero dall’inizio della crisi, ndr) verranno i minatori dall’Ucraina».

In tutte le fabbriche sono stati appesi manifesti in cui accanto a tre foto di anziani, bambini e un invalido è scritto a caratteri cubitali: «Scioperi? E a loro chi penserà? Fermati! Loro non vivranno senza il suo lavoro».

Propaganda a cui sono stati associati arresti e denunce per alcuni dei leader più in vista dei comitati di sciopero. In realtà il conducator bielorusso sta tornando in sella non tanto grazie alla sua forza quando all’inadeguatezza della leadership dell’opposizione.

Svetlana Tikhanovskaya già candidata dell’opposizione – dopo che solo due giorni fa si era autoproclamata leader del paese – alla domanda se sarebbe tornata in Bielorussia e se fosse pronta ad essere arrestata: «Sono follemente innamorata della mia patria e voglio davvero tornare là. E tornerò sicuramente quando mi sentirò al sicuro».

La stessa portavoce dell’ex candidato filo-russo Victor Babariko, Marya Kolesnikova, ha parlato di una «lotta contro il regime che sarà una maratona, non si deciderà in pochi giorni. Bisogna avere pazienza». Segno che nelle cancellerie si lavora a una soluzione soft della crisi a medio termine.