Illudendosi che la rivoluzione potesse adottare come proprio linguaggio artistico quello delle avanguardie letterarie e pittoriche, Nikolaij Punin aveva collaborato con Lunacarskij e il potere sovietico, poi con Majakovskij e Brik al giornale «L’arte della Comune», fino al suo primo arresto nel 1921.

Liberato per intervento di Lunacarskij, divenne attivo sostenitore dell’arte sperimentale nel corso di tutti gli anni Venti fino al secondo arresto nel 1930, quando per la sua liberazione Anna Achmatova, sua moglie, riuscì con l’aiuto di Boris Pasternak a far pressione direttamente sul Cremlino. Nel corso degli anni Trenta insegnò all’università di Leningrado, restando tuttavia ai margini della vita culturale e artistica, dopo essere stato licenziato dal Museo Russo. Nel dopoguerra fu ancora vittima di persecuzioni politiche e con le accuse di formalismo venne arrestato nel 1949 per morire poi nel 1953 nel campo di concentramento di Abez’ nella repubblica Komi. Di questa vita travagliata, sul finire degli anni Venti, Punin cominciò a scrivere le memorie, che nella variante intitolata In lotta per un’arte contemporanea non vennero pubblicate, finché a partire dal 1989, su iniziativa della figlia Irina, cominciarono ad apparire brani postumi, che approdarono poi a una recente edizione critica, restituendo un contributo fondamentale alla conoscenza dell’atmosfera artistica e intellettuale nella Russia alla vigilia dell’Ottobre.

Scritto in uno stile vivo e coinvolgente, il testo è allo stesso tempo un racconto autobiografico e una cronaca storica, che arriva ora a noi con il titolo L’arte in Rivolta Pietrogrado 1917 (Guerini Associati, pp. 291, € 17,10) come esito di una sofferta gestazione, descritta nel saggio introduttivo di Andrej Sarab’janov La rivoluzione di Punin, e poi nell’ampia nota dei curatori, Anna Kaminskaya, Nikolaj e Pëtr Zykov.

Il racconto dei suoi diari si apre con la descrizione delle animate dispute futuriste e con una testimonianza di prima mano sugli incontri, gli atteggiamenti, le convinzioni dei protagonisti di quegli anni, da Malevic a Burljuk, da Chlebnikov a Larionov, per concentrarsi poi sulla fortuna del cubismo tra i giovani artisti e critici del tempo, per i quali la celebre galleria del collezionista Scukin era «il nostro Dante, il nostro inferno, purgatorio e paradiso. Il luogo dove a un tempo trovavamo la nostra dannazione e la salvezza». Punin racconta della sua collaborazione alla rivista «Apollon», della polemica con Aleksandr Benois e il «Miriskusstva» (Mondo dell’arte) per poi riferire della vita e delle dispute all’interno del celebre Appartamento N. 5, cui partecipava, tra gli altri, Viktor Sklovskij, riportando gli incontri con i futuristi (nel testo è riportato il manifesto di Chlebnikov contro la guerra La tromba dei marziani).

Scoppiata la rivoluzione del Febbraio 1917 si pose la questione della salvaguardia dei beni artistici e della stessa organizzazione delle scuole e delle accademie d’arte: Punin riporta la cronaca di quei giorni, a partire dall’assemblea che precedette il formarsi di una commissione guidata da Maksim Gor’kij e il duro scontro tra i conservatori legati a Benois e gli artisti di sinistra, tra i quali Zdanevi, Mejerchol’d e Majakovskij. Il successivo meeting al Teatro Michajlovskij esasperò i dissidi e le fratture tra conservatori e innovatori, come testimonia anche la relazione del padre di Nabokov, membro del governo provvisorio che presiedette quell’incontro.

La vecchia Accademia imperiale fu attaccata e allo scontro seguì la formazione di un «blocco di sinistra», preludio di quel movimento d’avanguardia che avrebbe sposato le istanze della rivoluzione d’Ottobre con il celebre slogan majakovskiano: «Le strade sono i nostri pennelli, / le piazze le nostre tavolozze!». Ricorrendo a fonti giornalistiche dell’epoca, a citazioni frammiste a considerazioni personali e ricostruzioni storiche, Punin mostra la sua indiscutibile capacità affabulatoria, che risulta così non semplicemente una cronaca, ma un genuino contributo letterario.