«Gli ultrà raccontati in questo libro riflettono in gran parte i valori inclusivi e antirazzisti dei loro quartieri». È concepito da cervelli anglosassoni il primo volume organico sulle tifoserie rosse nel mondo del calcio. Pier Paolo Pasolini ed Antonio Gramsci, che amavano il football ed erano interessati a tutto ciò che intorno ad esso accade, avrebbero letto con interesse The roaring red front (Il fronte rosso ruggente), edito da Pitch Publishing nel 2022. Il libro raccoglie le appassionanti cronache di un lungo viaggio attraverso le gradinate di quasi tutto il pianeta, che gli autori hanno compiuto in anni recenti.
Stewart McGill è appassionato di calcio, istruttore di arti marziali, attivista politico, e scrittore. Vincent Raison è giornalista freelance, scrive per diverse testate internazionali. Insieme, tentano di rispondere a domande che vanno al di là del football e dello stile di vita ultrà.

Anzitutto, quale sia il ruolo dell’affiliazione ai club calcistici nel determinare e modellare un’identità ed una mentalità di sinistra tra i loro supporters. Entrando in relazione con i problemi politici globali, pongono il quesito sulla funzione che i gruppi organizzati del tifo potrebbero svolgere dentro e fuori gli stadi di calcio. Dunque, se possano divenire partecipi di uno sforzo per migliorare i linguaggi dei movimenti politici di sinistra, il loro appeal emotivo, nel tentativo di contrastare i gruppi di estrema destra che di recente hanno avuto maggiore successo nel raggiungere i cuori tribali delle periferie e dei quartieri popolari. Possono questi gruppi esercitare una spinta nel rendere i principi internazionalisti e solidali più attrattivi, in contrappunto ai seduttivi slogan ed ai simboli del crescente nazionalismo e dei movimenti sovranisti in occidente? «È ovvio che abbiamo incontrato anche i soliti inevitabili settarismi all’interno della sinistra, ma è difficile che questo meravigli qualcuno», precisano i due cronisti con ironia.

Per colmare il vuoto di analisi che da anni confina i linguaggi del tifo organizzato nella cornice di uno sterile fanatismo, partono dal tempio internazionale del tifo antifascista, la curva del St. Pauli di Amburgo. Sule rive dell’Elba è tutto un altro mondo. A Sankt Pauli il 33% del pubblico presente allo stadio è femminile. All’interno tra i tanti luoghi di socialità spicca un asilo nido, dove i genitori lasciano i figli ( da 2 a 6 anni ).

Lasciata la Germania, Mc Gill e Raison compiono un grand tour per conoscere da vicino i fans di alcune delle più blasonate società calcistiche mondiali, approdando pure in contesti minori, tuttavia non privi di storia, massa critica e potenza sociale. Incontrano e ascoltano le voci del tifo estremo in quasi tutti i continenti. In Europa visitano la kop del Liverpool, le curve di Cadice, Rayo Vallecano, Athletic Bilbao, AEK Atene, Celtic Glasgow, Olimpique Marsiglia, Polonia Varsavia.
Altrove incontrano gli ultras argentini del Boca Juniors e gli israeliani dell’Hapoel Tel Aviv. Sono tifoserie che assumendo una simbologia non ispirata ai miti della destra, costruiscono un’identità basata sull’egualitarismo. Pertanto conducono campagne antirazziste, iniziative solidali, battaglie contro il cosiddetto «calcio moderno».

I due autori si spingono fino a Detroit negli USA, dove dipingono l’esperienza antifascista intorno al calcio americano. Si accostano ad autorevoli esperienze di calcio popolare come la Napoli United e lo United Glasgow. In Italia non poteva mancare una ricognizione sulle curve di Livorno e Cosenza.

Qui trovano una guida d’eccezione, Silverio Tucci, voce e chitarra dei Lumpen, anch’egli ultrà della locale squadra di calcio. Ogni domenica migliaia di tifosi sulle gradinate del «Marulla» di Cosenza intonano la versione da stadio di Sloop John B dei Beach Boys, «Sembra impossibile», cantata dalla OI! Band cosentina. Raison e Mc Gill non sono i primi studiosi ad innamorarsi del tifo cosentino mentre raccolgono appunti per scrivere un libro. Il loro lavoro si inserisce nel solco di «Ultrà», pubblicato due anni fa dallo scrittore e giornalista Tobias Jones, oggetto di culto tra le tifoserie europee che guardano con ammirazione al modello ultrà italico. Sono tantissimi i cultori europei di tifo organizzato scesi in Italia dopo aver letto il racconto di Jones, tradotto in italiano e pubblicato da Newton Compton. Entrambi i libri generano suggestioni e interrogativi.

La lettura di The roaring red front torna a porre un antico quesito: è realistico definire ciascuna tifoseria «di sinistra» o «di destra»? È probabile che non sarebbe d’accordo con questo approccio il Dick Hebdige di Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale. E non è da escludere che convincerebbe poco anche il più autorevole analista italiano dei fenomeni sociali legati al tifo calcistico, il compianto Valerio Marchi. È plausibile infatti definire la sottocultura un universo rarefatto ed in espansione, in cui le zone più remote ospitano lampi di controcultura, ma l’utilizzo di categorie rigide rischia di forzare la realtà. A distanza di quattro decenni da quando, in un famoso articolo pubblicato sul Guerin Sportivo, nonché nel suo libro Wkhy, Renato Curcio coniò la definizione di «guerre in trappola», sono in parte mutate le dinamiche dello scontro fra i gruppi ultrà. Tanti osservatori del fenomeno ritengono che per effetto della legislazione d’emergenza applicata sia da governi di centrosinistra che di centrodestra, oggi negli ultrà sia in atto una deriva paramilitare.

Eppure, già nel passato remoto l’ampia letteratura tifologica riportava descrizioni di epiche battaglie avvenute tra i gruppi organizzati in luoghi e tempi lontani dalle partite di calcio. Si pensi alla mega rissa tra doriani e milanisti nel 1993, nei pressi di Alessandria, narrata da Nanni Balestrini ne I Furiosi o al prologo di ACAB di Carlo Bonini, premonitorio del recente cinematografico scontro in autostrada ad Arezzo fra romanisti e napoletani. Gli incidenti che da almeno una decina di anni scoppiano negli autogrill ed in zone estranee agli eventi calcistici, monitorati dallo straordinario apparato repressivo dello Stato allestito dall’inizio di questo secolo, inducono piuttosto a parlare di «guerre in libertà vigilata».