Nove colonne fitte di articoli inframmezzati da moduli pubblicitari e da foto a incastro: il giornale-lenzuolo, che aprendolo copriva un tavolo da disegno, dalla metà dei ’70 cominciò a ridursi di formato. Anche se la svolta, ispirata al tabloid, si doveva a “Il Giorno” nel ’56. I settimanali però conservavano il cliché da lenzuolo, proprio delle piccole tipografie artigianali nelle quali si stampavano. Sicché il giornalismo di provincia sapeva d’inchiostro e di artigianalità, ovvero di approssimazione. Che si rifletteva in altri campi. Come nello sport, talvolta, e nell’organizzazione tesa ad attuarlo. Giornalismo e sport, calcio soprattutto, da sempre a braccetto. Capitava che il redattore del foglio locale seguisse le vicende della squadra cittadina in trasferta. Per reggersi più o meno in autonomia, il giornale faceva i conti col bilancino e il cronista sportivo (definito con enfasi “inviato”) viaggiava gratis col pullman della squadra o con quello del tifo organizzato. Il pezzo sulla gara sarebbe uscito con note positive indipendentemente dal risultato. Nello stadio della squadra ospitante si entrava col telegramma-accredito. Una copia la portava con sé il cosiddetto inviato, il quale, se fosse mancato il nominativo nella lista, la esibiva insieme col tesserino.

In una domenica del campionato di serie B, raggiungemmo una località di mare del centro-Italia dove avrebbe giocato la squadra della nostra città. Un largo margine di tempo ci aveva indotti, prima delle due e mezzo della gara, a prendercela comoda nel mercato del pesce davanti a due chili di cozze nere accompagnate da provola e condite da vino fresco. All’ingresso dell’impianto sportivo, nei pressi del porto, la sorpresa: testata giornalistica e chi la rappresentava figuravano sì nella lista, ma i posti in tribuna stampa erano stati già occupati da altri non meglio identificati. Roba da scatenare una buriana. Lo stadio ormai zeppo, l’arbitro che fischiava l’avvio… ristabilire regole e ragioni ci avrebbe fatto perdere metà di partita. Che avremmo potuto seguire da una diversa postazione, ci fu proposto, cioè da bordocampo. Lì per lì la trovata non dispiacque, anzi. Stare a ridosso della linea di demarcazione del campo a contatto con allenatori, giocatori in panchina e l’odore dell’erba intorno sembrò un’occasione. Un tizio, ex-arbitro, c’invitò a seguire l’incontro dal vertice della bandierina da cui si battono i calci d’angolo. Da quel punto, sosteneva, si ha una visuale che copre l’intero terreno di gioco: lui appollaiato su uno sgabellino pieghevole, noi accovacciati di sotto con penna e taccuino a descrivere l’evento. Che finì due a zero. Avevamo perso, oltre ai posti in tribuna stampa, i punti in palio. Ma venne fuori un resoconto che convinse il direttore a disporne il richiamo in prima pagina.