A.O.SCOTT

ELOGIO DELLA CRITICA

IL SAGGIATORE

Quando nel maggio 2012 esce in Usa “The Avengers”, un’abbuffata di supereroi dei comics Marvel che incasserà più di un miliardo e mezzo di dollari, A.O.Scott, il critico cinematografico del “New York Times” se la prende con il gigantismo senz’anima della grande macchina produttiva, suscitando la reazione di Samuel L. Jackson, il colonnello Nick Fury capo della task force. Segue nel web un boomerang d’interventi pro e contro il lavoro della critica, a cui è dedicato il libro che, nonostante le digressioni filosofiche e le tirate moralistiche, non riesce a fare della diatriba di partenza lo scenario attendibile di una discussione seria. Tra citazioni a pioggia di Platone, Aristotele, Oscar Wilde, Edmund Wilson, Susan Sontag, si moltiplicano le dotte elucubrazioni e i vezzi accademici mentre sono pochissimi i film di cui si parla confermando l’immagine di un critico a disagio nei confronti della cultura popolare e estraneo ai Cultural Studies. Nonostante prenda le distanze da entrambi, probabilmente è vicino al dandy Addison DeWitt, il critico teatrale di “Eva contro Eva”, e al non meno blasé Anton Ego, il critico gastronomico di “Ratatouille”, più di quanto non sia disposto a ammettere ( pp. 255, euro 22,00).

A CURA DI ALBERTO ANILE

GUARDIE E LADRI

CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA/IACOBELLI

Chissà se ha ragione chi sostiene che in “Guardie e ladri” c’è il miglior Totò o chi invece gli attribuisce la colpa di aver “rovinato” il grande comico, vittima delle lusinghe neorealiste. A partire dalle divertenti caricature di Majorana che appaiono in copertina, il quaderno è ricchissimo di testi inediti, lettere, documenti, aneddoti, interventi, una mappa straordinaria che infila uno dietro l’altro il remake russo, la fortuna in Francia e in Gran Bretagna, le dichiarazioni dei bambini di allora assieme agli scandagli negli archivi pubblici e privati che ricostruiscono i rapporti con la censura, il contesto politico e sociale, la discussa dialettica tra neorealismo e commedia, con tanto di collegamenti topografici. Se finalmente si possono leggere le trentuno paginette del soggetto di Piero Tellini (con l’incipit esemplare:” Questa non è una storia originale. Essa si ripete da molte migliaia di anni. E’ una storia di giardie e ladri”), il reperto che personalmente mi piace di più è il “Cineromanzo”, naturalmente per tutti, che ne viene tratto con una bella immagine di Rossana Podestà in copertina, a conferma dei buoni rapporti tra il comico e l’universo quadrettato del fotoromanzo ( pp. 164, euro 9,90).

ROMANA DE ANGELIS BERTOLOTTI

STORIA DELLA NASCENTE TELEVISIONE ITALIANA

ODOYA

Si stanno ormai moltiplicando i libri sulla paleotelevisione, ma sono rarissimi quelli che, invece di occuparsi dei più noti protagonisti dello spettacolo, guardano dietro le quinte tra i tecnici e gli ingegneri che hanno progettato gli impianti televisivi, rendendo possibili le prime realizzazioni. Si comincia con la radio, anzi l’Eiar che fin dall’inizio degli anni trenta avvia studi e ricerche sul nuovo medium con l’obiettivo di completare gli esperimenti e lanciare la tv nel 1942 in occasione dell’Esposizione, l’E42, bloccata poi dalla guerra. Superata la fase della ricostruzione dei danni subiti durante il conflitto, negli studi di via Arsenale 21 a Torino le sinergie tra direzione tecnica e direzione amministrativa rendono possibile il decollo delle trasmissioni il 3 gennaio 1954, seguito dallo storico antagonismo fra Torino, Milano e Roma. Sin dall’Italia-Egitto, la prima partita trasmessa dallo stadio di San Siro, gli avvenimenti sportivi sono di stimolo allo sviluppo della tv. Non a caso il Secondo Programma prenderà il via il 4 novembre 1961 dopo le prove generali avvenute con le Olimpiadi del ’60, la prima volta che nella storia della competizione interviene il nuovo mezzo, mentre si moltiplicano i numerosi collegamenti per le riprese esterne, considerati eccezionali dalle altre reti televisive europee ( pp. 367, euro 20,00).

A CURA DI ADRIANO D’ALOIA, RUGGERO EUGENI

TEORIE DEL CINEMA

CORTINA EDITORE

Se il destino del cinema come lo abbiamo conosciuto è incerto, trasformato dalle nuove tecnologie digitali, stravolto dalle dislocazioni più disparate e inedite, mai come ora sembra costretto a interrogarsi su se stesso con la rinnovata disponibilità di chi ha smesso da tempo di giurare sulle teorie classiche come sulla bibbia, ma recupera piuttosto i tasselli dimenticati se non addirittura rimossi dalla cultura cinematografica quando non ruba esplicitamente schemi e categorie dalle altre discipline del sapere contemporaneo. Oggi riflettere sul cinema e sull’audiovisivo non significa chiudersi nello steccato dello specifico cinematografico, se mai è esistito, ma aprirsi al dialogo con la filosofia (mutuandone il concetto di esperienza), con le scienze sperimentali (per il concetto di organismo), con la teoria dei media (per il concetto di dispositivo). Il pensiero sul cinema è al centro dell’esperienza multimediale contemporanea come conferma ampiamente questa importante e preziosa antologia che raccoglie per la prima volta i contributi dei rappresentanti più originali dei “Film Studies” degli ultimi quindici anni, da Raymond Bellour a Patricia Pisters, da Carl Plantinga a Vivian Sobchack, da Uri Hasson a Antonio Damasio ( pp. 408, euro 35,00).

A CURA DI ANGELO SIGNORELLI

LIV ULLMANN

BERGAMO FILM MEETING

Si fa presto a dire attrice, e magari grande attrice come grande è certamente l’interprete di “Persona”, “L’ora del lupo”, “La vergogna”, “Passione”, “Sussurri e grida”, “Scene da un matrimonio”, “L’immagine allo specchio”, “Sinfonia d’autunno”, uno dei volti più intensi e sensuali del cinema contemporaneo. Ma Liv Ullmann – di cui “L’infedele” ha rivelato da tempo le singolari qualità di autrice in grado di rappresentare senza sentimentalismi, con la necessaria crudezza il nervo scoperto della vita di coppia – non è soltanto un’attrice, ma una regista cinematografica, televisiva e teatrale, sempre in viaggio come testimone privilegiata del set di Ingmar Bergman, di cui racconta tra l’altro con coinvolgente partecipazione il suo rapporto con gli attori: “Lasciava davvero condurre la scena all’attore. Considerava importanti i volti, le mani, tutto quello che un attore faceva con le mani. Il suo sguardo poteva andare sulle mani o sul collo. Molti registi di cinema pensano che ciò che davvero conta siano i loro pensieri, i fiori laggiù, un’ombra, o qualunque altra cosa, e che l’attore sia meno importante. Ingmar ci permetteva di essere pienamente la persona che ascolta. Qualsiasi cosa facessimo aveva un valore per lui. Ci dava libertà” (pp. 144).

ITALO MOSCATI

ETTORE SCOLA E LA COMMEDIA DEGLI ITALIANI

EDIESSE

Non è un libro su Scola. O almeno non è solo su Scola, ma su una fitta rete di rapporti che collegano registi, attori e attrici alla commedia italiana, in cui si alternano la presa diretta, il commento a caldo, la ricostruzione storiografica, la rivalutazione politica. Luigi Magni attraversa ancora una volta la storia che gli interessa di più dalla Roma papalina all’Italia risorgimentale, lanciando fulmini e saette sul modello americano che avrebbe soffocato le nuove generazioni. Ugo Gregoretti si sente di nicchia nel grande scenario della commedia, un macrogenere paragonabile solo all’opera buffa. La comicità “cattiva” di Paolo Villaggio con i suoi indimenticabili perdenti ridicoli e velleitari. Le inquietudini di Sergio Rubini tra set e vissuto, antropologia e psicoanalisi. Alessandro Bergonzoni tra i suoi miti non mette soltanto Totò ma anche Walter Chiari, con la sua ossessione della parola e del silenzio. Antonella Lualdi, la signorinella pallida a cavallo tra cinema italiano e cinema francese. Carlo Verdone e le facce della rispettabilità ma anche quelle dell’ipocrisia. Francesco Rosi e cioè la napoletanità di un viscontiano che riflette senza compromessi sull’Italia del malaffare e degli uomini contro. ( pp. 386, euro 14,00).

MICHAEL GUARNERI

QUESTI FIORI MALATI

BÉBERT

“Per fare un film non c’è bisogno di gran soldi e grandi camion. Servono, piuttosto, pazienza, tempo, amore, osservazione e qualche nozione tecnica. Stai più a lungo sul posto in cui ti trovi. Stai con la persona che stai filmando un po’ più a lungo e rifiuta questa storia di raid militare che è diventato il cinema”. L’autore della prima monografia italiana sul regista portoghese Pedro Costa – autore dal 1983 al 2014 di otto lungometraggi: “O Sangue”, “Casa de Lava”, “Ossos”, “No Quarto da Vanda”, “Où gît votre sourire enfoui?”, “Juventude Em Marcha”, “Ne change rien”, “Cavalo Dinheiro”, e di quattro corti – adotta la stessa strategia anche nella realizzazione di un libro partecipe e ispirato in cui ripropone il percorso creativo di un cineasta che va fiero dei segreti custoditi nei suoi film, dove contano i grandi spazi, le montagne, il mare, gli alberi e le pianure. Senza mai perdere di vista il “lavoratore Pedro Costa”, la sua lotta per impadronirsi dei mezzi di produzione e costruire un proprio studio cinematografico per sé e per i suoi amici, ma sempre tenendo intelligentemente aperti degli interstizi attraverso cui possano infiltrarsi “la magia nera, il woodoo, i demoni e tutte le strane creature che rendono i suoi film tanto misteriosi e speciali” ( pp.237, euro 18,00).

ANGELO MOSCARIELLO

I FILM DENTRO I ROMANZI

CAMPANOTTO

I film rievocati in prima persona dai protagonisti dei romanzi sono al centro del libro. Ma anche singole sequenze che nell’immaginario cinematografico dei personaggi – come in quello dei lettori-spettatori – sono diventati altrettanti modelli di comportamento. “La fiamma del peccato” di Wilder e “L’orgoglio degli Amberson” di Welles sono soltanto due dei tanti titoli visti da uno dei protagonisti di “La casa del sonno” di Jonathan Coe. Nella minuscola cineteca di Babele sfilano “La moglie del fornaio” di Pagnol e “Il club dei trentanove” di Hitchcock, riesumati da un personaggio di “Il giovane Holden” di Salinger. Nel romanzo di Jonathan Safran Foer “Eccomi”, un’intera famiglia ebraica improvvisa un dibattito su “Schindler’s List” di Spielberg: “Era per loro. Loro? Non gli Sterminati. Loro non possono vedere i film. Era per tutti loro che non erano noi: i goyn. Grazie a Spielberg avevamo finalmente un modo per costringerli a guardare la nostra assenza”. Ma le interferenze si moltiplicano in rapporto ai luoghi, agli attori, ai divi. Senza dimenticare “La notte del drive-inn” di Lansdale, dove la maratona di horror sembra uscire dallo schermo per animare un incubo truculento orchestrato dal mostruoso Re del Popcorn ( pp.94, euro 18,00).