È difficile dare l’addio a qualcuno dal quale ci è sempre aspettati una nuova intuizione, uno scarto, un punto di vista supplementare e, c’è da crederci, decisamente originale. Tant’è che proprio lui che ha contribuito a definire «lo stile» attraverso il quale si sono raccontate alcune generazioni tra musica, centri sociali e solidarietà internazionale, negli ultimi tempi lavorava con la matita ad una sorta di dizionario delle figure scomode e di confine dell’altro secolo, quel progetto di «Nero 900» che resta il suo ultimo omaggio a quanti lo hanno amato e apprezzato. E adesso, ci si chiede? Come fare senza altri inediti volti in bianco e nero cui avrebbe attribuito la capacità di interrogarci con nuovi quesiti? Anche se forse le sue figure dalla bellezza austera che indossavano giacche di pelle nera e jeans strappati, ma avevano volti da eroi romantici e sguardi che scrutavano lo spettatore, li disegnerà per un mondo ancor più vasto e senza confini.

DEL RESTO, Cristiano Rea, scomparso a Roma a soli 60 anni, di vite ne ha davvero attraversate tante, scegliendo, lottando e non solo disegnando. Senza le sue tavole, però, una parte di quella storia che è sì individuale, ma, come lui stesso ha ricordato di recente presentando al Forte Prenestino Pank!, il bel libro curato da Federico Guglielmi per Goodfellas, che ne raccoglie l’opera dal 1977 ad oggi, «anche e soprattutto collettiva», non sarebbe stata raccontata. Perché Rea ha plasmato un’immagine, un «segno» che non è mai stato soltanto grafico, e che dal punk, dall’underground musicale ha contribuito a definire il nuovo volto della politica metropolitana, l’insubordinazione organizzata e comunitaria che ha preso corpo con i centri sociali, mutando per sempre il lessico della rivolta. Affacciatosi a questo mondo dalla scoperta del punk e dalle serate dei primi anni del Uonna club, Cristiano ha poi vissuto intensamente (insieme a Luciana, compagna e complice di una vita) la politica della Roma ribelle, tra centri sociali, antifascismo e impegno internazionale, prima a sostegno del Chiapas quindi a fianco dei Curdi, realizzando centinaia, o forse migliaia di manifesti, locandine, volantini.

Immagini che colpivano prima di tutto per il loro approccio narrativo, capace di «raccontare» movimenti e iniziative con uno spirito «pop», ma tutt’altro che mainstream, mutando probabilmente ciò che il punk aveva fatto nell’evocare, prendendosene almeno in parte gioco, il rock’n’roll. «Pochi segni in bianco e nero, fotocopiati male e attacchinati peggio, ma che quando li incrociavo da ragazzino era come affacciarsi su un altro mondo», ha ricordato Zerocalcare che proprio nella prefazione a Pank! ha pagato un debito di riconoscenza a Rea che ha «letteralmente plasmato il nostro immaginario» e «disegnato una porta d’ingresso per quel mondo».

TROPPO DISCRETO per dare la giusta importanza al proprio lavoro, difficile eguagliare un simile percorso che ha varcato con curiosità ben quattro decenni, Cristiano Rea resterà «l’inventore» di un’epoca per quanti hanno ammirato i suoi disegni e un compagno di strada indimenticabile per quanti hanno avuto la fortuna di averlo come amico. Insieme al suo deciso bianco e nero a tutti mancherà poi la sua forza, calma ma decisa. Come quel «volto incazzato» che aveva regalato al Forte Prenestino per il primo maggio del 2020: «Ha l’espressione che vorrei avessimo tutti quando stiamo insieme, abbiamo vissuto, abbiamo da vivere, non ci possiamo lamentare».

Domani alle 16 al Casale Garibaldi di Roma (Via Romolo Balzani 87) si svolgerà un saluto collettivo a Cristiano Rea.