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«Crispr» non funziona, anzi sì

«Crispr» non funziona, anzi sì

BIOTECNOLOGIA Troppe mutazioni non desiderate? Sulla rivista «Nature Methods» uno studio molto discusso arrivato fino a Wall Street

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 13 giugno 2017

Una ricerca pubblicata sull’importante rivista Nature Methods mette in dubbio l’efficienza della biotecnologia Crispr, provocando un terremoto scientifico e finanziario. Ma lo studio sembra poco accurato, e si trasforma in un clamoroso boomerang internazionale per i suoi autori e per la rivista. Errori e approssimazioni fanno parte del normale ciclo di produzione della scienza tuttavia, quando ci vanno di mezzo brevetti e investimenti milionari, le ragioni del mercato piegano anche il metodo scientifico. Da alcuni anni, la tecnica di modificazione genetica Crispr sta eccitando aspettative e ambizioni di scienziati, pazienti e aziende chimico-farmaceutiche. Grazie a essa, è diventato molto facile disattivare i geni nelle cellule e modificare geneticamente gli organismi per ricerca scientifica o commercio. La tecnica è ancora allo stadio sperimentale perché prima di essere applicata su larga scala è necessaria una precisione assoluta. Il problema principale, in questo momento, riguarda le mutazioni non desiderate. Le proteine del sistema Crispr, infatti, riconoscono la sequenza esatta di Dna su cui intervenire, ma possono compiere errori e operare anche in altre regioni dei cromosomi, generando mutazioni potenzialmente dannose. Finché il rischio di mutazioni fuori bersaglio non sarà ridotto virtualmente a zero, difficilmente le terapie geniche basate su Crispr potranno applicarsi sull’essere umano.

ALLA FINE DI MAGGIO, sulla rivista Nature Methods è stato pubblicato uno studio realizzato in collaborazione dalle università statunitensi dell’Iowa e di Stanford (California) secondo cui le mutazioni non desiderate provocate da Crispr nei topi sarebbero oltre un migliaio. Inoltre, sfuggirebbero ai normali test di controllo finora utilizzati, prefigurando processi biochimici ancora ignoti.
La notizia, normalmente destinata a un pubblico di addetti ai lavori, ha invece avuto ripercussioni persino a Wall Street. Le più promettenti start-up quotate alla borsa di New York sono proprio le aziende nate per sfruttare le ricadute commerciali di Crispr. In particolare, all’indomani dell’annuncio le azioni della Editas sono crollate del 12%: si tratta della società fondata dagli stessi ricercatori di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology. La Editas, insieme alle università, ha recentemente ottenuto il brevetto su Crispr, dopo una discussa battaglia legale, guadagnando il monopolio sull’uso e sul futuro sfruttamento commerciale della scoperta.

È UN BREVETTO particolarmente rilevante: Crispr è uno strumento di lavoro ormai diffusissimo e nel settore bio-medicale il limite tra ricerca di base (teoricamente esente dai brevetti) e a scopo di lucro è saltato, per i legami sempre più stretti tra aziende e università.
Nel giro di qualche giorno, però, sono emersi diversi dubbi sullo studio pubblicato da Nature Methods. Nonostante il prestigio della rivista, lo studio appare poco significativo: l’analisi è stata svolta su solo due topi modificati con Crispr, più un altro topo come termine di paragone. I dati, in altre parole, sarebbero troppo scarsi per condurre a conclusioni statisticamente accettabili.

È DIFFICILE dimostrare che le mutazioni individuate non fossero già presenti nei topi prima della modifica con Crispr, perché anche gli esemplari selezionati per le sperimentazioni esibiscono una certa variabilità genetica. Gli scienziati-manager di Editas non si sono fatti pregare e nel fine settimana scorso hanno pubblicato una lettera aperta alla rivista affinché essa ritiri l’articolo scientifico o lo modifichi in maniera sostanziale.
Il ritiro di una pubblicazione non è un evento eccezionale. Accade in media a una ricerca su mille, secondo uno studio del 2013, e sulle riviste principali (Nature, Science e Proceeding of the National Academies of Science) addirittura quasi a una su cento. Il sito Retraction Watch censisce quotidianamente i casi e le motivazioni per cui ciò avviene. In un piccolo numero di casi si tratta di vere e proprie frodi, ma molto spesso gli articoli vengono ritirati per errori sfuggiti sia agli autori che a chi sceglie le ricerche meritevoli di pubblicazione. Fa parte del gioco: le scoperte scientifiche sono pubblicate proprio affinché altri scienziati possano studiarle, correggerle e migliorarle. Campi di ricerca come le biotecnologie, però, presentano un rischio supplementare. Quando sono in ballo brevetti e grandi investimenti finanziari, le normali regole del gioco scientifico saltano.

LE RIVISTE, anche quelle prestigiose, tendono a privilegiare le ricerche poco accurate ma con un grande impatto mediatico, come quella che bocciava la tecnica Crispr. D’altra parte, gli scienziati che trovano errori e inventano soluzioni possono farlo se le tecnologie possono essere utilizzate liberamente, senza ostacoli posti dai brevetti soprattutto su farmaci e strumenti diagnostici. Stavolta, a segnalare l’errore sono stati gli scienziati-manager di Editas. Proprio quelli che con il loro brevetto impediranno ad altri di fare la stessa cosa.

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