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Crisi idrica, serve un altro modello agroalimentare

Diamo valore all’acqua» è il tema scelto dall’Onu per la Giornata mondiale dell’acqua 2021, celebrata il 22 marzo. Un titolo che potrebbe sembrare ambiguo nell’anno in cui il bene acqua […]

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 25 marzo 2021

Diamo valore all’acqua» è il tema scelto dall’Onu per la Giornata mondiale dell’acqua 2021, celebrata il 22 marzo. Un titolo che potrebbe sembrare ambiguo nell’anno in cui il bene acqua è stato quotato per la prima volta sul mercato finanziario come future, ma che vuole essere anche un invito a conservare e proteggere una preziosa risorsa sempre più scarsa, complici i cambiamenti climatici e la pressione antropica.

Già nel 2012 le Nazioni Unite pronosticavano come circa la metà della popolazione mondiale dovrà affrontare la questione della scarsità idrica. Tra i Paesi ad alto rischio, anche l’Italia. Secondo l’Anbi (Associazione nazionale dei consorzi di Bonifica e Irrigazione) il livello dei fiumi nel nord del Paese è sempre più basso e il rischio desertificazione in aumento, soprattutto in alcune regioni del sud.

I settori destinati a pagare le conseguenze più gravi sono quelli dell’agricoltura, della zootecnia e della silvicoltura: in Italia il 20% del territorio rischia di non essere più produttivo e abbandonato e si stima che a causa di siccità, alluvioni ed erosioni del suolo rischiamo di perdere l’1% annuo sulla produzione agricola, con danni per 30 milioni di euro l’anno.
Ma se l’agricoltura è una delle principali vittime di questo fenomeno, ad essa sono anche legate importanti soluzioni, a partire dalla transizione verso metodi agroecologici. Prendendo in esame il rapporto tra sistema agroalimentare e consumo di acqua, si scopre che la frazione di gran lunga più grande dell’impronta idrica totale in Europa riguarda il consumo di prodotti agricoli commestibili (84% ), con più del 45% di questa imputabile ai prodotti a base di carne e latte. Per produrre un chilo di carne bovina occorrono 15.415 litri di acqua: un’impronta idrica per grammo di proteine sei volte maggiore di quella dei legumi.

Se l’agricoltura intensiva, basata su produzioni a bassa diversità, è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici, al degrado del suolo e alla scarsità d’acqua, l’agricoltura ecologica rappresenta la principale strategia di resilienza. Anche nel campo della zootecnia i modelli di allevamento ecologico possono offrire vantaggi ai processi ecosistemici, inclusa la resilienza alla siccità.

Una riduzione molto significativa dell’impronta idrica dei prodotti agricoli in Europa potrebbe essere raggiunta passando a diete più sane, ricche di frutta e verdura e con meno carne e latticini: con una «dieta europea» di questo tipo si potrebbero risparmiare 1.292 litri pro capite al giorno, il 30% dell’impronta idrica per il consumo di prodotti agricoli rispetto alla situazione attuale.

Per compiere questi cambiamenti sono necessari sostanziosi investimenti, sia in termini di ricerca sulle innovazioni agroecologiche, sia per sostenere gli agricoltori e allevatori in una vera transizione ecologica, diminuendo anche il numero dei capi allevati, e incoraggiare i consumatori nell’adozione di diete con un minore impatto.

L’Italia si appresta a varare il Pnrr (Piano Nazionale di Resilienza e Ripresa) e la Strategia Nazionale sulla nuova Politica Agricola Comune. Fiumi di soldi, l’ultima occasione per non arrivare a spremere il pianeta fino all’ultima goccia.

* Campagna Agricoltura di Greenpeace Italia

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