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Crisi greca, l’opera da tre soldi

Bruxelles Dietro le facce compassate, il dente del pescecane. Che non vorremmo vedere ancor più da vicino

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 17 luglio 2015

Dopo circa un secolo di discussioni, in pochi mesi (se volessimo essere poetici – ma non ne abbiamo alcuna voglia – in una notte torrida) si è chiarito in modo sufficientemente nitido, anche ai più ottimisti, il rapporto che il capitalismo ha con la democrazia, l’uso che fa delle sue istituzioni. Un utilizzo relativistico, funzionale. Il riconoscimento del «valore assoluto» della democrazia lo si pretese solo dalla sinistra, come certificazione del superamento del suo «peccato originale». Come per la democrazia, così per la sua struttura sociale, welfare e diritti: «beni di lusso», variabili dipendenti e sacrificabili di fronte al feticcio del capitale. Tutto risaputo, tutto scritto tanto tempo fa, diranno quelli che sanno sempre tutto; ed è anche vero. Ma anche loro, anche gli eternamente consapevoli, credo, avranno provato un brivido rivedendo (o vedendo per la prima volta, a seconda delle età e delle esperienze di vita) scintillare, dietro le compassate facce di Bruxelles, il dente del pescecane.

Di fronte a questa sfida esplicita, la condotta di Tsipras è stata ed è la più responsabile e realista, non perché più moderata (ce ne vorrebbe di faccia tosta, per considerarla moderata), ma, al contrario, perché era l’unica possibilità concreta per provare a rimanere al timone della Grecia, per tenere aperto un conflitto in Europa; per far fallire la sperimentazione neoliberista sulla Grecia. Una battaglia, amara e difficile, di resistenza, non una resa.

L’ Europa è meno ricca di prima, ha perso fette consistenti del mercato mondiale, dunque la forza si riaffaccia dietro la politica, il privilegio dietro il diritto, il ricco ( ne La questione ebraica, Marx avrebbe detto «il borghese») dietro il cittadino. L’esperimento greco, dal loro punto di vista, è sostanzialmente questo; e riguarda i possibili nuovi assetti politici e sociali del continente, nei quali Alba Dorata potrebbe risultare anch’essa parte dell’ esperimento. Tutto già visto (o già letto, a seconda delle età…), è vero; ma, diciamoci la verità, eravamo tutti, ma proprio tutti, disabituati a questa brutale radicalità. Non a quella di Tsipras o Varufakis (che non è brutale per niente, solo chiara e coraggiosa), ma a quella del pescecane.

E’ vero che la dignità consapevole dei greci ha fatto venire la zanna allo scoperto; ma l’aspetto peggiore della condotta di questi mesi è la sensazione che essa volesse mostrarsi, a tutta l’Europa. Volesse, cioè, mostrare la sostanza politica dell’esperimento. Questo mette i brividi; anche perché, rispetto ad altre pur drammatiche fasi, non c’è (o, se vogliamo essere ottimisti – ma ne abbiamo pochi motivi – ancora non c’è) una forza reale da contrapporre; se ci fosse stata, si sarebbe vista nelle piazze d’Europa, prima, durante e soprattutto dopo il referendum. Non piccole e generose avanguardie, ma una forza di popolo che, appunto, tranne che in Grecia e in Spagna, non c’è (e se Syriza si spacca definitivamente, non ci sarà più neanche lì).

La notte di Bruxelles – possibile preludio ad una nuova, brutta notte d’Europa – ci costringe a saltare qualche tappa, a rinunciare a qualche «diritto d’autore» e a reagire con forza e uniti, anche in pochi per diventare tanti. O la zanna del pescecane vogliamo vederla ancora più da vicino?

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