Europa

Crisi con Ankara, l’Ue cerca una via d’uscita. E Atene trema

Crisi con Ankara, l’Ue cerca una via d’uscita. E Atene trema

Migranti Dopo le continue minacce di far saltare l'accordo

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 9 agosto 2016

Non passa giorno ormai senza che da Ankara arrivi un attacco all’Europa. Parlando con il quotidiano Le Monde il presidente Erdogan ha di nuovo minacciato di far saltare l’accordo sui migranti se l’Ue «non soddisferà» le richieste avanzate dal suo paese, cioè il via libera alla possibilità per i turchi di circolare senza bisogno di visto nell’area Schengen e il pagamento dei primi 3 miliardi di euro (su un totale di sei) promessi per fermare le partenze dei profughi siriani. Senza parlare della sfida lanciata domenica da Istanbul, quando Erdogan si è di nuovo detto pronto a ripristinare la pena di morte «se il popolo lo vuole».

Minacce alle quali per l’Europa ha risposto ieri il ministro degli Esteri tedesco Steinmeier ribadendo per l’ennesima volta come un ritorno della pena capitale nel paese della Mezzaluna «interromperebbe il processo di negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione europea». Subito dopo, però, lo stesso Steinmeier si è affrettato a spedire ad Ankara un suo sottosegretario per discutere sulle «conseguenze del fallito colpo di stato».
L’Europa alza la voce, ma nei palazzi delle istituzioni nessuno nega più che la situazione stia degenerando a una velocità inimmaginabile solo fino al 15 luglio scorso, giorno del fallito colpo di stato. E se Bruxelles è preoccupata, ancora di più lo è Atene. Se davvero dovesse saltare l’accordo sui migranti, la Grecia sarebbe infatti la prima a pagarne le conseguenze. «Abbiamo paura», ha ammesso nei giorni scorsi il ministro per l’Immigrazione Yannis Mouzalas. «Se il flusso dovesse ripartire non potremmo certo affrontarlo da soli». Per questo la Grecia ha chiesto alla Ue se esiste un piano B per fronteggiare un’eventuale nuova emergenza. Senza ricevere, però la risposta sperata.
In realtà sia la Grecia che l’Ue stanno cercano di correre ai ripari.

Ad Atene si scrutano ogni giorno i bollettini degli sbarchi nel timore di un’improvvisa impennata che per ora non c’è stata. Certo, nei giorni immediatamente successivi al fallito colpo di stato gli arrivi dalla Turchia sono aumentati, ma la crescita viene spiegata più come frutto della paura dei profughi per la situazione di incertezza venutasi a creare che come l’inizio di una nuova ondata d sbarchi. Che invece in questi giorni, come sottolineano le stesse autorità greche, restano inferiori del 97% allo stesso periodo dell’anno scorso.

Il che naturalmente non significa che la situazione non possa cambiare improvvisamente. Anche perché i motivi di preoccupazione non mancano. I check point messi dal governo turco lungo la costa per fermare i migranti, dal 15 luglio non ci sono più e la stessa cosa dicasi per le pattuglie che impedivano ai profughi di imbarcarsi verso la Grecia. Se i siriani non approfittano della situazione, spiega chi monitora quotidianamente la situazione, è probabilmente perché sanno che sarebbe inutile, visto che nel loro viaggio verso l’Europa oggi troverebbero solo frontiere chiuse con i soldati a difenderle. E imbarcarsi per poi fermarsi dopo aver attraversato l’Egeo non ne vale la pena. Anche perché sulle isole elleniche la situazione è già pesante adesso.

Gli hotspot aperti dal governo a Lesbo, Chios, Leros, Kos e Samos sono infatti sovraffollati, con circa 9.700 profughi presenti su una capacità di accoglienza di 7.450 posti. Situazione dovuta anche a una serie di mancate promesse da parte dell’Ue circa l’aiuto garantito ad Atene per quanto riguarda esame delle richieste di asilo, respingimenti e ricollocamenti.

Seppure senza ammetterlo ufficialmente, il governo Tsipras starebbe comunque predisponendo un suo piano B che prevede l’apertura di altri campi dove accogliere i nuovi profughi. Si sta parlando, però, di qualche decina di migliaia di uomini, donne e bambini, non certo dei quasi tre milioni di rifugiati ospitati oggi dalla Turchia e che Erdogan potrebbe costringere a partire. E comunque sempre che le frontiere vengano riaperte, permettendo così ai profughi di rimettersi in marcia lungo l’autostrada Atene- Berlino.

Uno scenario catastrofico, che in queste ore viene studiato anche a Bruxelles. Dove però si ragiona in termini diversi rispetto ad Atene. A Bruxelles, ma soprattutto a Berlino, non si escluderebbe infatti la possibilità di destinare alla Grecia parte dei 3 miliardi di euro promessi ad Ankara, a patto che accetti di fare lei da guardia ai profughi. Un’ipotesi alla quale, però, Atene non vuole neanche pensare.

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