La crisi governativa in Repubblica ceca è arrivata a un nuovo bivio. Mercoledì 10 luglio il presidente della repubblica Milos Zeman ha infatti nominato il nuovo governo del premier Jiri Rusnok formato da managers industriali e da personaggi vicini al presidente. Un governo del presidente rigorosamente interclassista, avendo già ricevuto il benestare della Cmkos, il maggior sindacato ceco.
Il presidente Zeman ha quindi portato a termine la prima fase della sua manovra, che si è aperta con le dimissioni del governo di centrodestra del premier Petr Necas. «Ai miei elettori ho promesso che manderò a casa il governo Necas», ha argomentato Zeman riguardo la sua scelta di nominare un governo del presidente, nonostante il fatto che la candidata del centro-destra Miroslava Nemcova disponesse dell’appoggio della maggioranza assoluta di 101 deputati. Con la sua mossa Zeman si è lanciato in un sottile gioco di bonapartismo istituzionale. Finora tutti i presidenti della repubblica – a partire da Vaclav Havel – hanno cercato di aumentare il perimetro dei loro poteri istituzionali, puntando sulle indeterminazioni e sugli spazi bianchi del testo costituzionale. Essendo però Zeman il primo presidente della Repubblica Ceca eletto direttamente, ha puntato a contrapporre il peso della sua elezione ai partiti presenti alla Camera. «Con più di 2,5 milioni di voti ho un mandato superiore a qualsiasi altro partito o coalizione presenti alla Camera», ha tenuto a specificare Zeman il peso del suo mandato.
La Cssd, il maggior partito dell’opposizione di centro-sinistra, è rimasto spiazzato dalla mossa del presidente. Per questione d’immagine i socialdemocratici non si possono permettere di sconfessare il presidente ma allo stesso tempo temono, che Zeman tenti un approccio autonomo anche dopo le elezioni parlamentari, spingendo la Cssd, il probabile vincitore, ad allearsi con il partito personale di Zeman, la Spoz. Non se la passa meglio neppure il centro-destra, che si dovrà confrontare con la spinosa questione dell’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex premier Necas, accusato di aver corrotto tre ex deputati dissidenti del suo partito, dando loro degli incarichi nei Cda di aziende pubbliche in cambio delle loro dimissioni da parlamentari. Molti parlamentari sarebbero infatti tentati di non dare l’autorizzazione ai Pm, considerando fatto contestato come «normale gioco politico».
La situazione è complicata anche dall’incertezza sullo scenario, che seguirà dopo la probabile bocciatura del governo Rusnok. Il presidente ha fatto sapere che il governo potrebbe restare in carica fino al termine (regolare o anticipato) della legislatura. Se così dovesse essere, il centro-destra promette di bocciare ogni provvedimento – anche di carattere amministrativo – del governo. «Se il governo si comporterà come un esercito di occupazione, allora i deputati hanno il dovere di opporre resistenza a ogni costo», promette il potente ex ministro delle Finanze Miroslav Kalousek.
In questo quadro a perdere sono soprattutto i cittadini, che ritengono la politica parlamentare sempre più insopportabile. Non sorprende quindi la crescita di nuovi e improbabili movimenti, che predicano una vaga democrazia diretta e un duro e ferreo ordine. Tra i movimenti con più chances di riuscita c’è l’Ano 2011 del magnate Andrej Babis, da poco divenuto padrone di due quotidiani importanti come Lidove noviny e Mlada fronta Dnes. Babis ormai piccona ogni giorno la classe politica, e in mancanza di una legge sui conflitti d’interesse ha il campo aperto, per usare i media appena acquistati nella sua marcia verso la Camera dei deputati. Uno scenario non sconosciuto in Europa, e in Italia in primis.