Crimini di guerra e spending review
Ingombranti macerie La guerra Usa-Nato in Afghanistan, insieme al miraggio di una ripresa della vita civile - che vede le donne in prima fila nella difesa dei pochi spazi che hanno conquistato, insidiate dall’infamia di ordinamenti che le opprimono e le opprimeranno -, non ha prodotto alcuna reale pacificazione
Ingombranti macerie La guerra Usa-Nato in Afghanistan, insieme al miraggio di una ripresa della vita civile - che vede le donne in prima fila nella difesa dei pochi spazi che hanno conquistato, insidiate dall’infamia di ordinamenti che le opprimono e le opprimeranno -, non ha prodotto alcuna reale pacificazione
Partiamo dalla notizia:i 465 pagine di un dossier – dopo una indagine dell’Ispettorato della Difesa australiana – che rivelano che le forze armate australiane hanno ucciso almeno 39 civili afghani «fuori dal conflitto armato» tra il 2005 e il 2016 (quando Canberra si ritirò dal conflitto): sono 25 i militari delle forze speciali australiane che ora dovrebbero rispondere di questi crimini.
Così il capo di stato maggiore dell’esercito australiano ha fatto le le scuse ufficiali a Kabul – “scusate tanto” – , per torture, esecuzioni sommarie e uso della pratica di “blooding”, una sorta di iniziazione all’uccisione.
Che volete che sia in epoca di Covid-19 una tale notizia? Che però corrisponde ad una Abu Ghraib afghana – che di stragi ne ha conosciute di peggiori, come quella di Mazar-i-Sharif, testimoniata fin dal 2002 dalla nostra Giuliana Sgrena, insieme ad una litania di stragi di civili, «effetti collaterali», provocati dai raid «umanitari» della Nato.
A proposito i morti civili secondo la Brown University sono stati fino all’ottobre 2019 43.500 e questo per responsabilità congiunta di Nato, governativi e talebani (quasi gli stessi dati dell’Onu). Questa nuova strage è invece proprio l’occasione per riflettere su come stiamo spendendo le nostre magre finanze proprio in questa epoca di pandemia. Parliamo della nostra presenza militare in Afghanistan che data ormai a ben 19 anni fa, insieme a quella statunitense.
Nemmeno la guerra in Vietnam è durata tanto e come quella rappresenta uno smacco Usa. Per una avventura militare avviata come vendetta per l’abbattimento delle Due Torri l’11 settembre 2001; e dove i talebani, interlocutori privilegiati fino a due mesi prima degli Stati uniti per via degli interessi di gasdotti e oleodotti, dopo essere stati portati al potere contro i precedenti «nostri» alleati mujaheddin proprio dagli interessi occidentali e dal ruolo decisivo del Pakistan, sono improvvisamente diventati nemici perché ospitavano Bin Laden.
Dimenticando che gli Stati uniti quanto ad «ospitalità» non scherzavano, avendo accolto in terra americana lo sceicco cieco Omar Abdel Rahman, l’artefice ispiratore del primo attentato alle Twin Towers del febbraio 1993 che dal 1990 era stato autorizzato a vivere negli Usa nonostante fosse in una black list di sospetti terroristi. Con lo stesso criterio gli Usa avrebbero dovuto auto-bombardarsi…
La guerra Usa-Nato in Afghanistan, insieme al miraggio di una ripresa della vita civile – che vede le donne in prima fila nella difesa dei pochi spazi che hanno conquistato, insidiate dall’infamia di ordinamenti che le opprimono e le opprimeranno -, non ha prodotto alcuna reale pacificazione, anzi i talebani si sono perfino rafforzati e sono rimasti attivi nel controllo di parti significative del Paese.
Uno stallo e un disastro – come in altre aree di crisi dove l’Occidente ha portato in armi la sua presunta civiltà per poi chiudere gli occhi sulle macerie e sull’umanità che da quelle rovine non può che fuggire – sono, secondo la Brown University , 37 milioni le persone in fuga dalle guerre provocate da interventi Usa e occidentali; e alle prese con la scia sanguinosa e asimmetrica di ritorno di fighters più o meno foreign.
Così evidente è la tragedia che si è prestata all’intervento saprofita di chi certo non ha scelto la «via della pace» per risolvere i conflitti internazionali, anzi li ha aizzati anche quando – come per l’Iran e per Cuba – erano in corso tentativi reali di pacificazione. Parliamo di Trump, un paradosso vivente dunque, che potremmo definire isolazionista guerrafondaio.
Impegnato a fare l’«America first» gioca la carta del ritiro di fronte al disappunto popolare e sociale per i risultati negativi delle tante guerre, repubblicane e/o democratiche scattate, significativamente, dal 1991, dalla fine del «campo sovietico».
Da non dimenticare che le nuove società nate ad Est – a proposito dei ricatti di Budapest e Varsavia – hanno militarmente partecipato, come ascari colonizzati, alle nuove alleanze di guerra.
E già, le guerre sono state bipartisan. Non di destra o di sinistra – che la guerra dovrebbe rifiutare, almeno in Italia dove sta perfino scritto in Costituzione – ma «occidentali», del nuovo Occidente riunificato, dall’Oriente europeo al Pacifico.
Un imbroglio mastodontico che consegna chiavi in mano la parte teatrale del facitore di pace a Donald Trump. Il quale, proprio sul ciglio del baratro dell’uscita dalla Casa bianca perché ora la vittoria di Joe Biden è lampante e comprovata, avvia il ritiro delle rimanenti truppe americane dai fronti afghani e iracheni – dove le distruzioni e le vittime civili sono state centinaia di migliaia e per ora senza «scuse».
Suscitando subito un empito Usa patriottardo, sia tra le fila repubblicane che tra quelle democratiche: il presidente del Senato, il repubblicano Mitch McConnell, quello che sta appoggiando fin all’ultimo la protervia di Trump sui presunti brogli, ha dichiarato che questi ritiri «ricordano l’uscita disonorevole da Saigon nel 1975». Quanto deve bruciargli quella sconfitta ad opera dei vietkong, la cui immagine fu di un marine appeso alla corda di un elicottero che lasciava di corsa il tetto dell’ambasciata Usa. L’immagine fu usata nel novembre 2001 al contrario dalla Cnn: ancora un marine appeso ad una corda che scendeva da un elicottero, calato in edifici afghani da poco bombardati.
Allora che fare di queste ingombranti macerie di guerra. E delle spese militari, che ad una attenta spending review sono queste: la spesa militare dell’Italia per la missione in Afghanistan ammonta credibilmente finora a quasi 8 miliardi e mezzo di euro (Milex, l’Osservatorio per le spese militari quantificava nel gennaio 2019 la spesa per la sola missione militare italiana in Afghanistan a 7, 7 miliardi di euro); mentre gli Stati uniti hanno speso finora per la stessa guerra oltre 2.000 miliardi di dollari secondo il calcolo del New York Times del dicembre 2019.
La Nato la risposta ce l’ha. Il segretario Stoltenberg (nomina sunt omina) l’ha subito annunciata: anche se Trump si ritira, l’Alleanza continua la guerra. Bisogna salvare il «disonore occidentale»? Così per non finire come gli americani in Vietnam stiamo per finire come in Vietnam. E l’Italia allineata e atlantica, naturalmente tace e continua a stare nella guerra afghana. A fare che cosa? A partecipare all’uccisione di civili? Alla faccia del Covid e delle spese per l’emergenza sociale a cominciare da quelle sanitarie.
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