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Crimi: «Niente leggi contro Google e Facebook, decide il mercato»

Crimi: «Niente leggi contro Google e Facebook, decide il mercato»Vito Crimi – LaPresse

Stati generali dell'editoria Quinta puntata dedicata alla pubblicità. Il sottosegretario 5Stelle lascia mano libera ai giganti della Rete e al dominio della tv. E rivendica lo "shock" del taglio ai contributi pubblici per i giornali in cooperativa e non profit

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 12 giugno 2019

Vito Crimi sul mercato pubblicitario ha le idee chiare: «Non interverremo con una legge per limitare la supremazia degli Over the top (Google, Facebook e Amazon, ndr) , questo mercato si regolerà da solo con nuovi sbocchi».

Alla quinta puntata degli Stati generali dell’editoria, dedicata alla pubblicità, il sottosegretario 5Stelle depone gli artigli che pure aveva agitato in qualche intervista o meetup del passato (guarda il video sulla sua pagina facebook).

Eppure gli investimenti pubblicitari privati in Italia nel 2017 (dice il Sic dell’Agcom) hanno mosso ben 7,3 miliardi di euro di cui la metà verso le tv in chiaro (3 miliardi) e pay (0,3) e un terzo verso Internet (2,2 miliardi) ma di questi «oltre il 60% – certifica l’Agcom – sono andati alle piattaforme», cioè a Google e Facebook. Il resto è andato ai quotidiani (0,7 mld), ai periodici (0,6) e alle radio (0,5).

In un mercato così squilibrato, dunque, il governo non interverrà. Lascerà fare. Non così invece, ha ricordato Crimi, nel fondo pubblico al pluralismo, che è stato subito tagliato «per dare uno shock al sistema e segnalare il cambiamento».

Appena si è capito che il dibattito era poco più che accademico, nella ventina di persone in sala è corso un sospiro di sollievo e i pochi attori intervenuti si sono limitati a tratteggiare vaghe ipotesi di piattaforme nazionali nella raccolta dei dati e della profilazione da contrapporre ai giganti Usa. «Prima gli italiani» anche on line?

Totalmente ignorato l’allarme sul presente, per esempio, lanciato da Fabrizio Tomei (Poligrafici Editoriale): «Si dice no ai finanziamenti, no alle agevolazioni, no agli sgravi fiscali, ma qualcosa va pur fatta. O gli editori sono aiutati in qualche maniera o l’informazione plurale e di qualità ve la dimenticate, perché il giornalismo è troppo costoso da sostenere».

Le idee del governo sono note. Ma anche quelle dell’Upa (gli inserzionisti) non scherzano. Ad Antonio Meloni del pluralismo in edicola importa zero: «Noi cerchiamo canali adatti a raggiungere il consumatore; conta il loro profilo, e big data e digitale servono a questo».

Il futuro è dei cookie, per gli esseri umani si vedrà.

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