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Crevel, triangolo amoroso con suicidio

Crevel, triangolo amoroso con suicidioJacques-Émile Blanche, Portrait de René Crevel, 1928, Parigi, Museé Carnavalet

Romanzi surrealisti René Crevel praticò il genere romanzo venendo meno al radicalismo surrealista predicato e imposto da Breton: come nell’autobiografico La morte difficile (1926), Edizioni Robin

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 5 giugno 2022

Dopo aver pubblicato un paio d’anni fa Détours e altri scritti, le Edizioni Robin propongono ora La morte difficile di René Crevel («Biblioteca del Vascello», pp. 172, € 14,00) nella scorrevole traduzione di Angelo Mainardi. Il romanzo, uscito originariamente per Simone Kra nel 1926 e tradotto per Einaudi da Massimo Raffaeli nel 1992, segna una tappa fondamentale nel percorso di questo autore anomalo, apprezzato da Gertrude Stein, Marcel Jouhandeau, Ezra Pound, e definito da Klaus Mann un incrocio tra un arcangelo e un boxeur. Crevel è conosciuto soprattutto per la sua appartenenza al movimento surrealista e per essere stato, insieme a Robert Desnos, l’interprete par excellence della scrittura medianica, anche se, a ben vedere, il suo atteggiamento disincantato non sempre si allinea al dogmatismo iconoclasta imposto da Breton ai suoi accoliti, in sintonia piuttosto con la linea ereticale che accomuna figure dissimili come quelle di Artaud, Leiris o Bataille. Si pensi al veto posto dai surrealisti nei confronti del genere romanzesco (disatteso dallo stesso Breton con la pubblicazione di Nadja e L’amour fou, per quanto queste prove possano considerarsi romanzi sui generis), nonché all’avversione manifestata per l’omosessualità, ricorrente nelle Ricerche sulla sessualità, ciclo di dodici sedute svoltosi tra il 1928 e il 1932, anticipato in un numero della «Révolution surréaliste».
Crevel, di cui erano noti la bisessualità e il totale coinvolgimento con il romanzo (l’esordio avvenne con Détours nel ’24, anno di nascita della «Révolution surréaliste»), fu uno dei pochi ad avere una certa libertà di movimento senza incorrere negli strali del «papa» del surrealismo che, gradualmente, espulse i rappresentanti più significativi dello stesso, soprattutto dopo la svolta politica seguita alla stesura del Secondo manifesto nel ’29. I dissidenti risposero con il libello Un cadavre, dove campeggia un fotomontaggio di Breton con beffarda corona del martirio in testa. È significativo che Crevel continuasse a collaborare alle riviste che facevano capo al movimento dopo l’esperienza pionieristica della «Révolution surréaliste»: da «Le Surréalisme au service de la révolution» a «Le Minotaure».
Forse soltanto il devoto Benjamin Péret ebbe un trattamento altrettanto privilegiato mentre Aragon e Sadoul si defilarono, in considerazione della spaccatura ideologica creatasi con Breton, che opponeva all’intransigenza di matrice staliniana in auge nella gauche parigina degli anni trenta una concezione progressista che sfocerà nell’incontro messicano con Trotsky e il tentativo di allestire un progetto comune che potesse conciliare esigenze sociali e istanze culturali. D’altro canto la maniera di rapportarsi alla scrittura romanzesca di Crevel si pone in aperto contrasto con l’écriture automatique da lui stesso praticata durante i sommeils hypnotiques, in virtù di uno stile lineare, quasi cartesiano, che solo a tratti deborda in immagini visionarie che si richiamano alla poetica surrealista. A differenza di altri romanzi come Aurora di Leiris o La liberté ou l’amour! di Desnos, in cui predomina, sulla falsariga del modello ducassiano, il ricorso alle associazioni analogiche casuali, lo stile di Crevel risulta più calibrato, meno compromesso con i radicali precetti bretoniani.
L’elemento autobiografico, come in altri libri di Crevel, è quanto mai presente: ne sono spia al riguardo innumerevoli segnali, a cominciare dalle tematiche affrontate che passano dalla tormentata ambiguità sessuale di Pierre al suicidio, considerato alla stregua di una tara ereditaria. Quest’ultimo si configura come un Leitmotiv nell’opera di Crevel, derivando dal trauma subìto in età adolescenziale a seguito dell’impiccagione del padre, il cui corpo penzolante venne esibito dalla madre come un macabro feticcio al fine di non far seguire al figlio un esempio ritenuto esecrabile. Crevel idealizzò invece la figura del padre, a scapito di quella materna, considerata il ricettacolo di tutti i mali. Nella sua biografia edita da Fayard nel 1989, Michel Carassou indica in questa repulsione l’origine di una misoginia che rimanda alla domanda postasi dall’autore in Le clavecin de Diderot (1932), intrecciando due fonti mitiche differenti: «io ero fra quelli che avrebbero preferito uccidere la loro madre Clitemnestra piuttosto che il padre Laio?». Oreste detronizza Edipo, dunque, alla luce di un suicidio che diviene una forma non troppo larvata di matricidio, con la madre punita laddove il nervo risulta più scoperto: perbenismo borghese e morale cattolica naturaliter invisi al gesto estremo.
Al suicidio paterno si ispira quello del signor Blok, genitore di Diane, infatuata di Pierre. Tracce di tale ossessione creveliana si ritrovano già nelle indagini maturate in ambito surrealista: nei primi due numeri della «Révolution surréaliste» è presente un’inchiesta intitolata Le suicide est-il une solution? mentre la rivista belga «Le Disque vert» nello stesso 1925 accoglie un’iniziativa analoga. In entrambi i casi figurano interventi di Crevel che contrappone al bergsoniano élan vital un emblematico élan mortel. In un passaggio di Mon corps et moi, pubblicato sempre nel 1925, quasi a rimarcare una valenza terapeutica atta a contrastare un suicidio annunciato, si legge: «Del resto l’ossessione del suicidio resterà per me la migliore e la peggiore garanzia contro il suicidio».
Il protagonista della Morte difficile incarna l’alter ego dell’autore, tanto da indurlo a passare, senza soluzione di continuità, dalla terza alla prima persona in alcuni passaggi del romanzo, laddove più intenso diviene il coinvolgimento emotivo con quella sorta di stream of consciousness di Pierre ponentesi alla base del suo descensus ad inferos. Lo stesso Arthur Bruggle, musicista americano frequentato con trasporto da Pierre, sembra richiamarsi alla figura del controverso artista statunitense Eugene McCown, frequentato assiduamente verso la metà degli anni venti. Il triangolo amoroso che si viene a creare tra Diane, Pierre e Arthur, passa dall’abnegazione femminile a una sensualità omoerotica che culmina con il ballo tra Bruggle e il teppista Totor nelle sale del «Lapin vengeur» che sembra anticipare gli scandalosi motivi di Genet. D’altro canto il Corydon di Gide, sorta di vangelo sull’omosessualità basato su una serie di dialoghi di taglio socratico, uscì nel 1924 e la sua lettura segnò profondamente Crevel (una prima versione contenente i primi due dialoghi vide la luce nel 1911 in appena 12 esemplari che, secondo l’ammissione contenuta nel Journal, vennero accuratamente riposti nel cassetto).
Ma Eros si contamina inestricabilmente con Thanatos, richiamando le pulsioni di morte di ascendenza freudiana (il retaggio psicoanalitico, insieme a quello marxista, era considerato irrinunciabile dai surrealisti: si pensi all’appendice di Les vases communicants, edito nel ’32, contenente tre lettere indirizzate dal perplesso maestro viennese a Breton). Ma altri sono i rimandi in chiave autobiografica: la signora Dumont-Dufour, madre di Pierre, che sembra incarnare i tratti dispotici e oppressivi della genitrice dell’autore, il marito colonnello, soprannominato Ratapoil (Rat-à-poil, topo peloso), che quotidianamente indirizza allo spettro di Madame Pompadour la medesima lettera dal tono esaltato, il padre di Diane che decide di impiccarsi nel bel mezzo di un ricevimento con tanto di invitati che aspettano il suo arrivo per cenare.
Il finale del romanzo, in cui il protagonista si toglie la vita, prefigura il suicidio dell’autore, avvenuto nel giugno del ’35 e documentato in un testo paranoico-critico da Dalí. Il proposito bretoniano di «trasformare il mondo secondo Marx e cambiare la vita secondo Rimbaud» era naufragato miseramente. Crevel, debilitato dalla tubercolosi, non era riuscito nell’intento di fare opera di intermediazione tra il comitato organizzatore dell’AEAR, l’Associazione degli scrittori e artisti rivoluzionari, e Breton, reo di aver schiaffeggiato il delegato russo Il’ja Erenburg dopo che quest’ultimo aveva tacciato i surrealisti di essere un manipolo di pervertiti. In seguito a tale querelle, Breton non venne autorizzato a prendere parte al Congresso internazionale per la difesa della cultura che si tenne a Parigi, minando i propositi libertari di Crevel. Solo a Éluard fu permesso di intervenire brevemente. Nel biglietto d’addio era riportato questo messaggio di taglio telegrafico, lancinante come una rasoiata: «Prière de m’incinéner. Dégoût».

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