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Crescere a Ladakh

Crescere a Ladakh"Grandir à Ladakh"

Tibet Incontro con la regista Christiane Mordelet

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 15 giugno 2019

Tra le violazioni dei diritti umani perpetrate dal dominio cinese in Tibet, le donne subiscono anche la sterilizzazione e l’aborto forzati. A un passo da questi abomini, sempre nella regione himalayana del Ladakh, vive una comunità che invece incarna una visione evoluta dei rapporti di genere. Qui la dodicenne Padma e la sorellina – tra l’ammirazione dei monaci – sono le uniche ragazzine a partecipare a un cammino religioso buddista, tre giorni arrampicandosi e prostrandosi in preghiera sui sentieri. Di questo si narra in Grandir au Ladakh di Christiane Mordelet e Stanzin Dorjai, vincitore nella sezione documentari del River to River, Florence Indian Festival (lo scorso dicembre sotto la direzione di Selvaggia Velo).

“Ho incontrato Stanzin, originario di quella comunità, 12 anni fa”, ci ha raccontato Christiane Mordelet. “Insieme ci siamo occupati degli effetti del cambiamento climatico e, con La pastora dei ghiacci, abbiamo raccontato la storia di sua sorella che vive sola a 6000 metri d’altezza. Poi lui mi ha detto, ci sono troppe differenze tra la vita dei bambini in Francia e in Ladakh. Il crescere in Ladakh (il titolo del film), avviene ancora attraverso gli apprendimenti trasmessi dalla natura, dai genitori, dai nonni e dal villaggio, cosa che fa sviluppare adulti forti e gioiosi e, come dice Stanzin, con i pollici dritti, non agganciati sempre allo smartphone”. Le chiediamo come ha vissuto la relazione con Padma e la sorella. “Conoscevo Padma già da 10 anni e c’era già un bagaglio di relazione tra noi, fatto di passeggiate, di risate, di lettere. Inoltre, dal momento che si tratta di una famiglia povera, sono io a pagare i suoi studi. Quindi stare con loro da un lato è stato facile, perché mi sentivo accettata come “la nonna” francese, dall’altro dal momento che Padma è la nipote di Stanzin, non si sentiva libera davanti a suo zio che filmava.

Così, quando alla fine della grande processione, durante la quale aveva fatto 9000 prosternazioni in tre giorni, senza mai fermarsi e senza alcuna preparazione, lui le ha chiesto come stai, lei ha guardato in macchina, ha sbuffato e poi ha detto soltanto: sono un po’ stanca…”.In un’India che appare ancora imbevuta di modernità e ammorbante passato, è vero che in Ladakh c’è una società egualitaria tra donne e uomini? “Totalmente. L’umorista Coluche diceva che i ragazzi sono più uguali. Io direi che in Ladakh le donne sono un po’ più uguali degli uomini. L’unica cosa che non fanno è arare i campi con gli yak, ma i papà si occupano dei bambini e della cucina, le donne lavorano e raccolgono i frutti della terra. Tutto si fa in eguaglianza e condivisione”. Centrale in questo contesto è la figura della nonna, maestra e narratrice di storie. “Purtroppo se n’è andata dopo le riprese. E Padma era lì, molto addolorata, ma già conscia del ciclo della vita e della morte che, nella filosofia buddista, non viene nascosta perché si crede nella reincarnazione. Ma bisogna anche dire che il loro ambiente è ancora sano, l’alimentazione naturale e che non ci sono malattie come l’Alzheimer o il Parkinson, che gli anziani non sono abbandonati e soli”.

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