Lavoro

Cresce il lavoro ma è sempre più precario: boom di quello a chiamata

Cresce il lavoro ma è sempre più precario: boom di quello a chiamata

Inps, i dati dopo lo stop ai voucher 501 mila contatti di lavoro a tempo determinato e quelli stagionali nel luglio 2017, ovvero la metà della nuova occupazione nel privato: 1 milione e 73 mila in sette mesi. L'effetto della norma Poletti che ha eliminato la "causale" dai contratti a termine. La prospettiva di una progressiva sostituzione del lavoro "fisso" con quello precario

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 22 settembre 2017

L’abolizione dei voucher per evitare il referendum abrogrativo della Cgil ha portato a un significativo aumento del lavoro a chiamata e, in parte, dei contratti di sommistrazione tra marzo e luglio del 2017. Lo ha rilevato l’Osservatorio sul precariato dell’Inps secondo il quale i contratti di lavoro a chiamata sono passati dai 112 mila del 2016 ai 251 mila del 2017 con un incremento del 124%. Al posto dei contestatissimi scontrini a luglio sono entrati in vigore i «PrestO», acronimo tremendo ma significativo di una certa idea «mordi e fuggi» del lavoro occasionale. Un dato da tenere in considerazione in un’economia del precariato dove si sta consolidando un’ampia fascia di occupazioni intermittenti e pagate a prestazione o a cottimo, definite «lavoretti».

La tendenza post-voucher registrata dall’Inps va inquadrata nel più ampio fenomeno della crescita dell’occupazione precaria a termine. Rispetto al saldo annualizzato, cioè la differenza tra assunzioni e cessazioni pari a oltre un milione di contratti di lavoro, a luglio 2017 i contatti di lavoro a tempo determinato e quelli stagionali erano 501 mila, ovvero la metà del saldo registrato nell’ultimo anno in Italia. Il maggiore contributo alla crescita dell’occupazione registrata negli ultimi dodici mesi (+823 mila rispetto al 2016) è stata quella del tempo determinato (+25,9%) e dell’apprendistato (+25,9%), mentre l’occupazione a tempo indeterminato continua a calare (-4,6%, in gran parte part-time, rispetto al 2016).

Per dare un’idea del cambiamento in atto da una generazione, la crescita tendenziale dei contratti a tempo indeterminato si è fermata a 18 mila unità. La sproporzione è clamorosa: 501 mila contratti precari contro 18 mila «fissi». Che poi sono «fissi» per modo di dire. Dopo l’abolizione dell’articolo 18 i contratti a tempo indeterminato andrebbero definiti «diversamente precari».

La crescita impetuosa dei contratti a termine è dovuta alla cancellazione della «causale» voluta dal ministro del lavoro Poletti. Nel 2014 fu questo il primo atto del governo Renzi appena insediato che anticipò di qualche mese il Jobs Act, una «riforma» che tendeva a promuovere la contraddizione in termini del «contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti» dove a crescere era solo la libertà delle imprese a licenziare e a percepire gli sgravi contributivi per i neo-assunti elargiti da quel governo (18 miliardi di euro in tre anni).

Terminati i soldi di questo assistenzialismo di Stato al capitale, i contratti precari hanno continuato a crescere. Nel 2015, scrive l’osservatorio Inps, quando era ancora in vigore l’esonero contributivo, l’incidenza dei contratti a tempo indeterminato sul totale delle assunzioni raggiunse il picco del 38%. Nei primi sette mesi del 2017 è calato al 24%. Queste percentuali vanno contestualizzate nella realtà del precariato italiano. Il contratto a breve e brevissimo termine era, e resta, la pietra angolare del mercato del lavoro.

Questa disamina impietosa della realtà del lavoro nel nostro paese andrà tenuta in considerazione quando il governo Gentiloni assegnerà alle imprese un nuovo sgravio dai 18 ai 29 anni nella prossima legge di bilancio. Il dimezzamento dei contributi per tre anni, che sia o meno permanente, tenderà a creare una micro-bolla di fine legislatura tesa a dimostrare la validità di politiche che in realtà aumentano il precariato e riducono le tutele.

Per Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, «occorre partire da un aumento strutturale del costo dei contratti temporanei». È difficile comunque immaginare che basti questo per correggere il dato strutturale rafforzato dal renzismo che ha reso ancora più facile assumere a termine. Anche con la nuova tornata di bonus, le imprese assumeranno a tempo, mentre intascheranno gli incentivi. Un’altra rendita garantita gratis da governi compiacenti.

Una prospettiva che dovrebbe imporre almeno la contro-riforma della normativa Poletti sui contratti a termine. Lo stesso Loy ne ha fatto un cenno ieri. Non è affatto detto che sarà questa la linea della prossima legislatura. L’orientamento resterà lo stesso: la progressiva sostituzione del lavoro «fisso» con quello a termine dei «lavoretti».

*** Sgravi dopo 29 anni se assunzione segue apprendistato
Garantire alle imprese uno sgravio sui contributi se assumeranno persone oltre i 29 anni. Il governo, vuole aggirare la norma europea anti-discriminazione e sta pensando a una norma che applica il «bonus giovani» a chi sarà assunto a tempo indeterminato dopo un periodo di apprendistato. Già oggi questo strumento, rivisitato dal Jobs Act, gode di forti agevolazioni contributive: l’aliquota è al 10% e resta all’11,65% in caso di stabilizzazione per il primo anno. Il contratto può essere attivato per i 15-25enni e può essere prorogato fino ai 29 anni compiuti con l’apprendistato professionalizzante con una durata da 6 mesi a tre anni (5 nell’artigianato). Le imprese potrebbero ricevere soldi pubblici fino al compimento dei 34 anni dell’apprendista. A quanto pare, l’idea del governo è di garantire 3 anni di sgravi per gli assunti a tempo indeterminato. Ma perché le imprese dovrebbero assumere se ci sono già gli sgravi per l’apprendistato?

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