Creditori, achtung! È un «ricatto» greco
Visto da Berlino La «Frankfurter Allgemeine» imposta la guerra contro il nuovo corso ellenico
Visto da Berlino La «Frankfurter Allgemeine» imposta la guerra contro il nuovo corso ellenico
La stampa conservatrice tedesca sembra ormai dare per scontata la vittoria di Syriza alle elezioni greche. Ma a questa funesta previsione non corrisponde alcuna rassegnazione.
Si affilano dunque le armi contro il «ricatto» greco. Così la Frankfurter Allgemeine Zeitung si rivolge ai creditori di Atene mettendoli in guardia da ogni cedimento. Questi ultimi potrebbero infatti temere che il blocco totale dei pagamenti e l’uscita di Atene dall’euro possa destabilizzare le banche e i mercati finanziari, favorire la speculazione e spingere altri stati a lasciare l’eurozona o a forzarne, più o meno gravemente, le regole. Inoltre si dovrebbe dire addio ai miliardi investiti nel salvataggio dell’economia greca. Circostanza che gli elettori non mancherebbero di far pagare ai rispettivi governi. Questi timori costituirebbero altrettante armi nelle mani del diabolico Tsipras, per piegare la governance europea al risanamento, in primo luogo sociale, del proprio paese.
Dunque, secondo il quotidiano conservatore, bisogna correre ai ripari. Gli stati dell’eurozona dovranno attrezzarsi a mettere in conto le perdite provocate da un eventuale default greco e la Commissione europea dovrebbe, per parte sua, garantire che gli aumenti dei debiti pubblici conseguenti a queste perdite saranno tollerati. La Banca centrale europea dovrà poi escludere la Grecia dal piano di quantitative easing, e gli aiuti finanziari previsti dal piano di salvataggio dovranno essere congelati fino a quando non sarà chiaro fino in fondo il corso politico deciso ad Atene.
Tuttavia le istituzioni europee chiariranno che non vi è alcuna volontà di discriminare la Grecia, né, tantomeno, di sospingerla fuori dall’euro. Se Atene obbedirà alle prescrizioni della Troika, in un imprecisato futuro potrà godere di «facilitazioni» e «alleggerimenti». Non è dunque la Grecia come frammento dell’economia globale il bersaglio, ma il suo governo democratico al quale resta preferibile una oligarchia, sia pure dilapidatrice e corrotta, ma sempre disponibile, all’occorrenza, a bastonare i cittadini a garanzia degli interessi dei creditori.
La ricetta suggerita dalla Frankfurter Allgemeine ha lo scopo evidente di impostare la guerra contro il nuovo corso ellenico non come una guerra tedesca, ma come una guerra europea che escluda preventivamente ogni rischio di emulazione. A Berlino, infatti, dopo l’operazione varata da Draghi, nonostante tutti i vincoli e le garanzie di cui si è circondata, la diffidenza nei confronti di un’Europa, sulla quale il controllo tedesco sembra indebolirsi, cresce a vista d’occhio. La questione della Grecia diviene così centrale. Lì rischia di aprirsi una pericolosa breccia nella logica del cosìddetto «rigore».
La situazione di Atene, e la politica applicata nei suoi confronti dovevano servire da monito, laboratorio e modello al resto dell’Europa e, soprattutto, ai paesi in maggiore difficoltà. Ora, con la temuta vittoria di Syriza, quel modello rischia di cambiare radicalmente di segno, di rovesciarsi nel suo contrario. Berlino non può consentire che una alternativa prenda vita. Il minaccioso monito «se non fate i bravi farete la fine della Grecia» non può rischiare di trasformarsi in una promessa.
La posta in gioco è alta e i falchi lo sanno molto bene.
Per questa ragione è già iniziata la guerra preventiva contro un governo che ancora non esiste. Ormai fallito, come sembra probabile, il ricatto nei confronti degli elettori greci si predispongono le strategie per contrastare il nuovo corso ellenico, una volta passato il tempo delle promesse elettorali. Fino al punto di chiudere un occhio sulle pecche di altri paesi indebitati dell’eurozona purché si aggreghino, o almeno non contrastino la crociata contro la Grecia. Dai toni duri della Bundesbank a quelli meno ruvidi della Cancelliera tutto converge in questa direzione. Mentre il varo della manovra della Bce è sempre più ossessivamente accompagnato dall’imperativo di proseguire sulla via delle cosìddette «riforme», vale a dire il ridimensionamento del welfare, la contrazione dei diritti e dei salari.
E mentre l’autorevole Frankfurter Allgemeine espone le sue dotte ricette macroeconomiche, per piegare la Grecia di Tsipras, la stampa popolare si ingegna nel tradurre in un numero stratosferico di boccali di birra i presunti costi del quantitative easing a beneficio dei suoi non raffinatissimi lettori.
La Germania, sempre più diffidente, guarda a destra.
Prova ne sia che il vicecancelliere socialdemocratico Siegmar Gabriel decide di partecipare a un incontro con alcuni esponenti di Pegida (i «Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente») che, per carità, «non sono tutti nazisti e le loro preoccupazioni meritano ascolto». Il fatto è che la parola d’ordine della «priorità nazionale» non è del tutto fuori luogo nelle stanze della Cancelleria. Ma ancora non può fare a meno delle stelline della bandiera dell’Unione, con qualche eccezione.
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