Il protagonista è l’attore del momento, nomination all’Oscar, figura complessa e sfuggente che incarna alla perfezione la Gen Z. Parliamo di Paul Mescal, volto maschile per la versione «seriale» di Normal People, il magnifico romanzo di Sally Rooney, e poi il papà immaginario/immaginato tra ricordi, filmini, canzoni da una figlia quasi adolescente in Aftersun. Questa «reinvenzione del maschio» – così come qualcuno ha definito la presenza dell’attore – viene messa in discussione da Saela Davis e Anna Rosa Holmer, le due registe di Creature di Dio – in questi giorni in sala – che gli scrivono invece addosso una personalità maschile assai poco ideale, anzi bene accordata a un mondo in cui il patriarcato si lega all’indifferenza insegnata come valore di vita. Mescal è Brian, un giovane uomo che torna a casa dopo lungo tempo passato in Australia con l’intenzione di riprendere il suo allevamento di ostriche andato in malora. La madre, Aileen (Emily Watson) operaia in un stabilimento che lavora i molluschi, su cui poggia l’intera economia locale, è disposta a tutto per lui, pure a rubare per aiutarlo mentre il padre lo tiene a distanza. Natura difficile, paesaggio affascinante, una piccola comunità coi suoi riti e le sue «tradizioni» umane: è il teatro perfetto, anche questo molto dell’aria dei tempi, per una Medea irlandese riletta nelle esigenze di oggi, e rovesciata in un percorso di consapevolezza. Che passa dalla fragilità innescata dal ritorno del figlio a quella lacerante devastazione dell’accusa contro di lui di stupro.

UNA RAGAZZA del villaggio denuncia Brian, lui nega, la madre anche stavolta lo difende compiendo un altro passo nell’offesa della propria moralità: ma cosa significa questo suo gesto? Da quelle parti c’è un’usanza assurda, ai figli maschi non insegnano a nuotare così non possono gettarsi a mare per salvare un altro pescatore ce sta affogando. è istinto di conservazione famigliare contro qualsiasi legge del mare, e questo Aileen fa per proteggere il figlio, pure se sa che ha mentito, e giorno dopo giorno quella menzogna diviene più evidente. Come uscirne? Il film segue questo cammino che è appunto quello di una coscienza, e in qualche modo di una liberazione, il cui esito non può che essere tragico arrivati a quel punto. E lo fa con un puntiglio che, nonostante le visioni naturali potenti, gli attori, quel piccolo luogo senza nome e fuori dal tempo, a sottolineare ancor di più una dimensione archetipica, certi passaggi di eleganza formale, lo ingabbia nel proprio assunto.

C’È UN ASPETTO dimostrativo nel gesto di Aileen, che attraversa ogni tappa obbligata fino al dramma: una decisione estrema che non può che essere estrema perché esplode contro sé stessa – e tutto ciò che ha subito e ha reso parte del suo modo di essere – in un femminile senza equilibrio, a cui è negato ogni orizzonte di solidarietà e di comune battaglia.