Craig Santos Perez e il verso del futuro
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Cultura

Craig Santos Perez e il verso del futuro

GEOGRAFIE Una intervista al poeta micronesiano appartenente al popolo Chamorro. Originario di Guam, insegna inglese e letterature del Pacifico alla University of Hawaii a Manoa. «Trovo che la poesia sia un modo più personale ed emotivo per esprimere convinzioni ideologiche e per criticare, decostruire il colonialismo»
Pubblicato 10 mesi faEdizione del 12 dicembre 2023

Craig Santos Perez è un poeta micronesiano appartenente al popolo Chamorro, originario di Guam, uno dei territori non incorporati degli Stati Uniti d’America. Classe ’80, docente presso il dipartimento di Inglese della University of Hawaii a Manoa, Perez insegna scrittura creativa, ecopoetry e letterature del Pacifico.
Il 15 novembre scorso è stato insignito del National Book Award per la poesia, un riconoscimento prestigioso andato negli anni a William Carlos Williams, Robert Lowell, Elizabeth Bishop, Allen Ginsberg, Louise Gluck. In riferimento alla silloge premiata, From unincorporated territory (Omnidawn Publishing), la giuria si è espressa così: «L’opera poetica sia come lode sia come riparazione trova intensa realizzazione in from unincorporated territory.

Pur elogiando teneramente la famiglia e la patria, Craig Santos Perez è sempre consapevole delle forze – colonialismo, militarismo, distruzione ambientale e abuso sessuale sistemico – che devastano ciò che è intimo e sacro. Orgogliosamente plurilingue, tanto lirica quanto indignata, from unincorporated territory è poesia come medicina feroce».
La lirica che «ripara» dai soprusi (redress, termine heaniano) diviene fonte di amot, medicina. I taumaturghi della tradizione chamorro erano, infatti, conosciuti come yo’amte: si riunivano nella giungla e recitavano canti e invocazioni di taotao’mona, o spiriti ancestrali, implicati nel processo di guarigione. (Se volessimo citare en passant Van Morrison, potremmo dire che la poesia è qui uno healing game). Ma Perez, che vive attualmente in California, racconta anche la lontananza e lo sradicamento: «cosa significa essere / un chamorro diasporico // sentirsi straniero nella propria patria?». O persino le storture del capitalismo e la crisi della spiritualità: «non frequento più la messa / eppure eccomi qui a pregare // il santo patrono del bingo / per favore chiama la tua fatale combinazione // di lettere e numeri».

La sua poesia ha il potere lenitivo di una pianta medicinale.
Gran parte della mia attività poetica si concentra sulla storia, sulla politica, sull’ecologia della mia terra natale, l’isola di Guam, nel profondo Pacifico, e sulle esperienze della mia gente, i nativi Chamorro. Scrivo di militarismo, migrazione, giustizia ambientale e cambiamento climatico. è il quinto e ultimo libro della serie from unincorporated territory e affronta questi problemi attorno al tema centrale della guarigione e della medicina che dovrebbero curare dai traumi del colonialismo.

Nel saggio «Navigating Chamoru Poetry: Indigeneity, Aesthetics, and Decolonization» (Arizona University Press, 2022) lei sviluppa una metodologia letteraria (wayreading) capace di esplorare le connessioni tra società e poesia chamorro. Qual è il suo rapporto con il popolo delle isole Marianne?
Ho un forte legame con la mia cultura nativa. In qualità di accademico, ho potuto studiare a fondo la letteratura del mio popolo e nel saggio citato ho cercato di osservare come la nostra poesia sia stata efficace nell’esprimere l’identità indigena, dando un robusto contributo all’estetica contemporanea, alla politica e al pensiero decoloniale.

A proposito di decolonizzazione, in una circostanza ha rilevato che i suoi testi hanno lo scopo di «creare contro-mappature per sovvertire le mappe coloniali».
Sì, le mie idee politiche sono spesso incorporate nelle cose che scrivo. Trovo che la poesia sia un modo più personale ed emotivo per esprimere convinzioni ideologiche e per criticare, decostruire il colonialismo. Inoltre, credo che la poesia ci aiuti a immaginare meglio futuri decoloniali.

Come si possono portare l’Oceano Pacifico e le isole oceaniche all’attenzione globale?
Molti isolani del Pacifico, allo stesso modo di altre minoranze sparse qua e là, lavorano già da alcuni decenni per attirare un maggior interesse sull’Oceania. La poesia è soltanto una delle forme attraverso le quali le nostre storie possono essere trasmesse al mondo.

Lei è anche autore di due album di «spoken poetry». Qual è la differenza con la poesia scritta e visiva?
La spoken poetry dipende quasi interamente dalla voce dell’autore, mentre la poesia visiva si basa – com’è ovvio che sia – sulla parola stampata e sulla pagina. La performance e la recita orale dei testi dànno così la possibilità di catturare diverse sfumature vocali, e questo è impossibile che avvenga su un foglio.

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