Politica

Cottarelli e l’inutile elenco dei volontari

Cottarelli e l’inutile elenco dei volontariIl prefetto Paolo Tronca

Governo In una lista dei ministri forse inutile e sicuramente non destinata a lasciare il segno occhi puntati sul Viminale che dovrà gestire le prossime elezioni

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 30 maggio 2018

Ieri c’era il governo ma non ancora la lista – comprensibilmente non c’è la fila di aspiranti ministri pronti a offrire il petto alla sicura sfiducia. Oggi potrebbe esserci la lista ma nel frattempo rischia di non esserci più il governo. È bastato infatti uno stop al percorso di Cottarelli verso lo scioglimento della riserva – mentre già si preparava il salone delle feste per il giuramento del nuovo esecutivo – a provocare in tutti i protagonisti della crisi un bagno di realismo. Uscisse oggi con l’incarico dal Quirinale Cottarelli saprebbe già di doverci tornare in un paio di giorni e con le dimissioni. L’interludio avrebbe un solo effetto: bruciare l’opportunità di votare a luglio, nell’ultima domenica, e condannare il paese ad assurde elezioni in agosto oppure il Quirinale a forzature non bene immaginabili per tenere in piedi un mese in più il governo sfiduciato. E arrivare con le elezioni almeno a settembre.

Un giorno di rinvio rispetto ai quasi novanta che sono passati dal 4 marzo in fondo è poca cosa, e Cottarelli assicura di avere la lista ormai pronta. Ma nello spazio del salone delle feste rimasto vuoto un giorno più del previsto si sono infilate tutte le ipotesi, soprattutto quella del ritorno in campo del governo politico M5S-Lega (e di Maio non si è negato l’ennesima capriola, spiegando di essere pronto a collaborare con il presidente della Repubblica che ieri voleva mettere in stato d’accusa e oggi non più). O l’ipotesi dello scioglimento immediato delle camere, per consentire il voto a fine luglio. Servono sessanta giorni di tempo. Il 29 luglio sarebbe una sfida all’affluenza, ma concederebbe un po’ di ossigeno al nuovo governo (ammesso che il risultato cambi) per presentare la legge di bilancio e trovare le risorse per sterilizzare l’aumento dell’Iva entro metà ottobre.
Cottarelli dunque ha preparato la sua lista in uno scenario surreale. Fuori dallo studio di Montecitorio dove ha messo assieme i pezzi e soprattutto le scarse disponibilità – con l’aiuto del pressing del Quirinale su personalità a fine carriera – tornava in pista il governo politico a guida Lega. Senza Savona all’economia. A conti fatti i voti di fiducia per l’esecutivo «del presidente» sarebbero talmente pochi – una ventina al senato – da assestare un altro colpo alla figura del presidente della Repubblica, che già ne ha ricevuti troppi.

Per portare il paese al voto in due mesi in fondo potrebbe andar bene anche il governo che c’è, non fosse che lo stesso Mattarella ha riconosciuto nel corso delle sfibranti consultazioni che Gentiloni «non può ulteriormente essere prorogato in quanto espresso, nel parlamento precedente, da una maggioranza parlamentare che non c’è più». E poi leghisti e grillini non si fidano di Minniti al Viminale e vorrebbero esercitare un controllo sulla campagna elettorale e sulle operazioni di voto. Il candidato al ministero dell’interno sulla lista di Cottarelli dovrebbe essere quel prefetto Paolo Tronca , ex commissario straordinario di Roma Capitale, che Salvini ha già elogiato in passato e proposto per incarichi pubblici.
Tronca è uno dei non molti nomi che riempiono il toto ministri di Cottarelli. Assieme a quello di Enrico Giovannini, ex presidente dell’Istat che potrebbe occuparsi di lavoro, Guido Tabellini al quale andrebbe l’economia nel caso non resti ad interim allo stesso Cottarelli. Elisabetta Belloni, segretaria generale della Farnesina che andrebbe agli esteri. E Alessandro Pajno, presidente del Consiglio di stati e giurista molto vicino a Mattarella, al quale potrebbe andare la giustizia o un altro ministero importante.

Ma sono biografie alle quali non ci sarà neanche il tempo di dedicarsi troppo, sia che il governo Cottarelli giuri in giornata – essendo comunque destinato a rapida eclissi – sia che venga ritirato di fronte al pentimento di un Di Maio in evidente stato di agitazione di fronte alla prospettiva di un ritorno immediato al voto: «Se abbiamo sbagliato qualcosa lo diciamo, siamo pronti a rivedere la nostra posizione».
La prospettiva di un governo in carica due mesi, meno che balneare, e con la fiducia di nessun gruppo parlamentare, capace di polverizzare qualsiasi record negativo di consensi (che spetta a un governo Fanfani del 1987 che comunque raccolse 131 voti alla camera) è troppo pesante anche per il Quirinale. La retromarcia dei giallo-verdi su Savona sarebbe un balsamo per l’istituzione presidente della Repubblica. Quella di Di Maio praticamente già c’è. La retromarcia di Salvini invece no.

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