Nell’ormai lontano 1966, quando Carlo Ginzburg presentò per la prima volta i suoi famosi Benandanti, molti studiosi inizialmente sospettarono che il libro dimostrasse in qualche modo l’esistenza di una setta di streghe. Questi individui carismatici del Friuli nella prima età moderna sperimentavano stati di estasi e dichiaravano di svolgere attività come guaritori e come «cercatori» di streghe. Si suppone che combattessero battaglie aeree immaginarie contro le streghe per difendere il raccolto e decidere il destino delle loro comunità. Sebbene il saggio sia stato nel tempo sottoposto a critiche e revisioni, la ricerca sulle connessioni fra stregoneria e sciamanesimo è andata avanti, sia nel Friuli, sia nelle regioni centro orientali dell’Europa, nelle quali individui dotati di capacità sciamaniche sono stati scoperti attraverso l’analisi delle fonti storiche, della tradizione orale, dunque del folklore, delle letterature comparate.

NEGLI STUDI SUL CAMPO condotti sulle isole dalmate all’inizio degli anni Cinquanta, i krsniki erano ancora considerati avversari delle streghe ed erano temuti e ricercati per i loro poteri divinatori. Partendo dal táltos (sciamano) ungherese, Gábor Klaniczay ha raccolto idee simili in tutta l’Europa orientale, dal Friuli ai Balcani fino al Mar Nero, dimostrando che i reperti apparentemente bizzarri del Friuli facevano parte di un puzzle molto più ampio, rendendo possibile un nuovo accesso al mondo delle fiabe europee, dove il folklore arcaico incontra la letteratura. In tale contesto, va salutata con favore la pubblicazione di Diószegi Vilmos, La religione dei magiari pagani (a cura di Elisa Zanchetta, Vocifuoriscena, pp. 324, euro 28), testo fondamentale di un folklorista, linguista etnografo ungherese vissuto nel Novecento che ha indirizzato buona parte delle sue ricerche a trovare i nessi culturali fra lo sciamanesimo magiaro e quello più generalmente ugrofinnico, che si è manifestato in modo particolarmente forte e attestato in Siberia.

SECONDO LA DEFINIZIONE di Mircea Eliade, lo sciamanismo si caratterizza non come una religione, e tanto meno come uno stadio nello sviluppo religioso dell’umanità (secondo le idee dell’etnografia di stampo positivista), quanto in un insieme di tecniche estatiche, che ruotano attorno alla capacità dello sciamano di uscire dal corpo e compiere il viaggio estatico che lo conduce a contatto con il mondo dell’invisibile, del soprannaturale. La Siberia è la patria dello sciamano, ed è dall’osservazione delle sue attività tra i popoli come i tungusi, i mongoli, i samoiedi, gli eschimesi e gli altaici che abitano questa vasta area che si è costruita l’immagine prototipica dello sciamano. La parola stessa deriva dal tunguso «saman», forse derivante a sua volta dal sanscrito per il tramite cinese. Comunque, questo nome tunguso fu applicato dai russi a persone dotate di simili poteri tra i turchi e i mongoli, e in seguito fu adottato dagli storici della religione e dagli antropologi.

Diószegi Vilmos ricostruisce accuratamente, intrecciando un insieme di fonti diverse, le caratteristiche del táltos ungherese: una nascita particolare (nel Friuli sono i nati «con la camicia», in Ungheria con un numero superiore di denti, più raramente di dita), l’iniziazione attraverso una fase di sonno duraturo oppure di una scalata onirica di un albero che collega la terra al cielo, e poi i suoi canti misteriosi e il bagaglio di pratiche che lo rendono punto di riferimento delle comunità.

È ANCORA UTILE leggere un libro uscito originariamente nel 1967? La risposta è decisamente positiva: l’accesso ai testi in ungherese è stato finora assai scarso, e il ruolo di questa regione quale tramite culturale fra Europa e Asia risulta fondamentale. Eccellente lavoro, dunque, della curatrice Elisa Zanchetta e dell’editore Vocifuoriscena, che ha un catalogo ricchissimo di fonti e studi della tradizione europea nordica e orientale.