Larisa D. (persona in carne ed ossa ma qui con nome di fantasia per evidenti motivi) fa parte dello staff che dirige la campagna elettorale di Petro Poroshenko in una città di circa mezzo milione di abitanti dell’Ucraina centrale. Nell’intervista ci racconta come funziona ed è organizzata la campagna del presidente uscente.

Come si articola la vostra campagna?

Prima di tutto voglio precisare che per me questo è un secondo lavoro, insomma lo faccio per soldi. In 3 mesi ciò mi permette di guadagnare circa 1000 dollari più un eventuale premio se in città Poroshenko otterrà il maggior numero di voti. Lo faccio per poter pagare a mia figlia l’università. I piani di lavoro sono essenzialmente due. Il primo è quello tradizionale: installare gazebo, diffondere volantini e opuscoli, organizzare meeting. Poi c’è quello per così dire non legale.

In che senso «non legale»?

Il primo metodo consiste nell’acquistare singoli voti. Si promettono circa 8 dollari a chi lo voterà e sarà in grado dimostrarlo con una foto dello smartphone. Oppure l’inserimento in liste per ottenere una casa popolare ad affitto calmierato. Devo dire che questa pratica è diventata più difficile rispetto alle scorse tornare perché ora sempre meno gente è disponibile a vendere il voto. C’è più coscienza che svendersi non aiuta certo il paese a uscire dal marasma in cui è caduto. Poi c’è l’acquisto di interi pacchetti di voti.

Di che si tratta?

Il titolare di un azienda o un ufficio pubblico organizza la raccolta di voti tra i dipendenti promettendo benefits o promozioni. In cambio Poroshenko promette agevolazioni, contratti di lavoro, facilitazioni a queste realtà lavorative, se sarà eletto. Oppure più semplicemente acquista il pacchetto di voti, in media 2-3 dollari a voto. Infine c’è l’organizzazione di brogli nei seggi, soprattutto quelli periferici e meno controllati.

In che senso brogli?

Ci si mette d’accordo con chi lavorerà ai seggi per introdurre nelle urne schede già compilate facendo votare all’ultimo momento chi non ha partecipato al voto. Oppure facendo votare in massa per il nostro candidato a persone rinchiuse in ospedali, case di riposo e manicomi. Si tratta di un lavoro ben pagato perché chi lo fa rischia la denuncia penale. Lo stesso vale per la pratica, di cui però ho sentito parlare del fare votare i morti. Cioè di non registrare all’anagrafe i deceduti degli ultimi 10-15 giorni e farli votare. Oppure sul voto dei residenti all’estero che sono tantissimi ma che si sono registrati a votare solo in piccola parte.

Hai già fatto parte di staff elettorali di questo tipo. Quanti voti si è in grado di spostare con questi metodi?

È difficile dirlo con precisione. Forse il 10-15% dei voti però bisogna tenere conto che anche altri candidati lavorano a raccogliere voti con metodi simili.

Di quali candidati parli?

Per quello che sento dire in giro fanno pratiche simili Julya Timoshenko e Yurii Boyko (il candidato filo-russo dell’ex partito delle regioni di Janukovic). Vladimir Zelensky ha invece puntato tutto sulla trasparenza investendo solo sui social network e su un maxi-show portato in giro per il paese. Tuttavia Poroshenko potendo controllare l’apparato dello Stato e i suoi fondi ha molte più risorse e modi di farsi piacere.

Secondo te alla fine come andrà a finire?

La mia percezione, parlando con tantissima gente, è che al ballottaggio dovrebbero arrivare Timoshenko e Zelensky ma noi facciamo il massimo per portare ovviamente Poroshenko al secondo turno. Forse ce la possiamo fare. Però temo che potrebbero esserci proteste se Zelensky o Timoshenko non passeranno il turno. Ormai manca davvero poco e io non vedo l’ora di riposarmi un po’.