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Così malinconico e sferzante, il blues laico di Jason Ricci

Così malinconico e sferzante, il blues laico di Jason RicciJason Ricci

Incontri L’armonicista e cantante americano, una vita tumultuosa raccontata nel disco «Behind The Veil»

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 17 novembre 2023

«Casco Bay narra del tempo di mezzo. È come stare in bilico tra la morte e la rinascita, tra la morte e il paradiso o ancora, tra la morte e poi niente. Oppure si potrebbe dire che si tratta di abbandonarsi all’inevitabile, all’ignoto. Un po’ e se fosse la morte dell’ego. Beh, devo dire che le sostanze psichedeliche e l’ascolto di molta musica dei Doors probabilmente mi hanno aiutato a scrivere la canzone». Così l’armonicista e cantante americano Jason Ricci introduce Casco Bay, brano che apre Behind The Veil, album che si impone tra i migliori del 2023 in ambito blues. Il tema parte con un assolo di armonica carico di lirismo, per poi sviluppare con un tono melanconico degno della miglior murder song che il tramonto di New Orleans sappia offrire.
A dare ispirazione per le liriche alquanto gotiche da lui cantate, non è stata però la Crescent City che da anni lo ha adottato, ma la omonima baia su cui affaccia la città d’origine, quella Portland del Maine che ha lasciato in gioventù. Le dodici incisioni che compongono il lavoro includono gli attimi salienti di buona parte della sua vita personale ed artistica. Provare per credere con Hip Hug-Her, scritta da Booker T & The M.G.’s, che rammenta l’era della permanenza a Memphis grazie ai forti richiami stilistici al mentore Pat Ramsey, già armonicista di Johnny Winter. Ascoltando questo strumentale, sembra di vedere il giovane Ricci strapazzarsi in parte lavorando per un ristorante italiano e per la maggiore, come one man band a Beale Street. Proprio lungo quella strada incontrerà Duwayne e Garry Burnside che assieme a Kent e David Kimbrough Jr. si trovavano lì cercando un sassofonista, finendo invece per essere colpiti dal suo talento alle ance.

FU UN INCONTRO determinante: poco dopo il giovane Ricci, classe 1974 ed all’epoca solo ventunenne, si trasferì a casa di David a Holly Springs, nelle Hills. Rimase da quelle parti per circa un anno, divenendo elemento fisso nel juke joint di Junior Kimbrough dove puntualmente era della partita anche R.L. Burnside. Jason veniva solitamente pagato con trentacinque dollari, un sacchetto di marijuana e mezza pinta di moonshine. Fu un periodo di formazione significativo, anche oltre la musica, complice il rapporto fraterno con Kimbrough Jr.: «È stato incredibile, meraviglioso e talvolta difficile suonare e vivere assieme. Credo altrettanto per lui. Oltre il palco, di cui sfortunatamente non ho registrazioni dei nostri concerti fatti con R.L. e Junior, la lezione più importante l’ho imparata da David: mi ha insegnato che tutti, sottolineo tutti, hanno lati belli e lati terribili. Sai, devi essere sempre te stesso condividendo con la tua famiglia, reale o adottiva che sia. Senza lasciarti distrarre da altro».

SCHIETTO OLTREMODO, Ricci non ha mai fatto mistero delle sue dipendenze da droghe di ogni genere, come racconta la rocambolesca vita che lo ha visto entrare e uscire ripetutamente dal carcere e dalla riabilitazione. Immagine visibile dei suoi demoni sono da sempre le canzoni. Per Ricci la sobrietà, raggiunta e persa ripetutamente sin dalla giovane età, è un crocevia tra autodistruzione e creatività che porta verso un percorso di redenzione: con Behind The Veil afferma di essere stabilmente in salute: «Con le esperienze che ho avuto, posso solo consigliare ad un giovane che scegliendo la musica come professione, potrà essere sé stesso senza bisogno di droghe o di una terribile storia di difficoltà. Certo, bisogna abituarsi alla povertà, soprattutto agli inizi. Ma posso garantire che la gioia è nel lavoro, in quanto la musica è ciò che facciamo, non ciò che siamo. Se invece crei musica per cercare soluzioni, alla fine rimarrai deluso».

LA GENESI dell’album si deve proprio ad un’intuizione: «Tutto è partito dal brano 5-10-15 che Kate canta da diversi anni. Da qui ho avuto l’idea di registrare il disco in presa diretta, per cercare di tornare ad un approccio modello vecchia scuola. C’è molta influenza di New Orleans che si è insinuata naturalmente e sono felice che la gente lo senta». L’amore per la Crescent City emerge anche grazie ad una bella versione di St. James Infirmary, dove spicca il chitarrista Brent Johnson, che assieme al batterista John Perkins e al bassista Bill Blok completa il quartetto base, perfettamente orchestrato al banco mixer dal sempre bravo Kid Andersen, già titolare dei Greaseland Studios in California nonché chitarrista di Rick Estrin.
Iconografica ed in puro rhythm and blues di New Orleans è la autobiografica e divertente Why Don’t We Sleep On It, la quale cela tra le righe ulteriori vicende personali di perdizione da cui risorgere. Ricci assieme alla cantante nonché compagna di vita originaria di Boston, riesce a trasfigurare narrazioni tragiche in un mood allegro: «Kate e io avevamo litigato. In risposta ho scritto l’intera melodia pensando a quanto avrei fatto meglio senza di lei. Ma ho continuato a sentire la sua voce dire la verità sui nostri dissidi. Così ho scritto entrambe le parti, realizzando un divertente duetto alla stregua di quelli tra Walter «Wolfman» Washington con la cantante Timothea Beckerman»

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