La insaziabile richiesta in Cina di asini da tutto il mondo – scriveva qualche giorno fa l’Agenzia Italia – sta provocando conseguenze inattese sui lavoratori nigeriani che fanno affidamento su questi animali versatili per sopravvivere. L’esplosione in Cina delle ricette di medicina tradizionale che utilizzano la pelle d’asino ha quadruplicato i prezzi per gli animali in Nigeria». Che l’aumento della richiesta di carne in Cina stia modificando il mercato globale è cosa nota. Meno forse che, oltre al maiale e al pollame, i cinesi siano avidi anche di pelle d’asino a scopo medicinale, al punto da mettere in crisi il mercato nigeriano e a spingere diversi paesi africani a mettere un freno all’esportazione (Burkina Faso, Gambia, Botswana, Senegal, Mali, Niger), contribuendo all’impennata dei prezzi che fa ricchi gli esportatori ma mette in difficoltà i locali che si volessero comprare un asino da impiegare nei campi.

Questa specie a volte protetta e altre volte semplicemente vessata – per l’utilizzo come bestia da soma o per l’associazione maligna nel vocabolario corrente (testardo come un mulo, ignorante come un asino, etc) – è in realtà un piccolo tassello dell’economia mondiale e a volte persino una protagonista della guerra, di cui finisce per pagare le conseguenze anche anni dopo. Ma c’è qualcuno però che degli asini si occupa: sia per farne un commercio che ne rispetta comunque l’esistenza, sia proprio per salvargliela.

IL NOSTRO VIAGGIO comincia a Mannar, area tamil dello Sri Lanka, una zona divenuta famosa quando papa Francesco la visitò due anni fa sia per la presenza di un santuario cattolico sia per sottolineare la necessità di una pacificazione tra singalesi buddisti e tamil per lo più indù. Ma ciò che colpiva a Mannar, dove ormai i segni della guerra civile si andavano stemperando, era la quantità di asini nelle strade della città. Bestie abbandonate durante i vari pogrom e le violenze contro i tamil che, scappando, abbandonavano per forza di cose anche i loro animali: cani e asini soprattutto. La città è rimasta così ostaggio della sua eredità bellica anche per via di queste bande di quadrupedi assai mal in arnese: magri e malatticci, sempre in cerca di cibo ed estremamente riottosi e violenti. I cani possono mordere ma gli asini possono sia mordere, sia causare incidenti automobilistici o semplicemente affibbiarti un calcio mortale se gli girano i cinque minuti. Assieme a una sarabanda di branchi di cani famelici e spelacchiati, finiscono – specie di notte – per rendere pericolose la stradine buie della cittadina. Da alcuni anni però, Bridging Lanka – una Ong nata nella diaspora srilankese in Australia – ha cominciato a occuparsi degli asini di Mannar. A salvarli, accudirli, curarli facendone anche una risorsa e non più un accidente violento con cui fare i conti: con l’aiuto di un team della Donkey Sanctuary India, fondi australiani e personale srilankese, il programma ha iniziato col levare gli asini dalla strada. Ma in seguito ne ha fatto anche dei piccoli terapeuti per bambini, un ruolo che restituisce all’animale la perduta dignità, trasformandolo da odiato clochard a compagno di giochi (l’asino è usato spesso nella pet therapy, la onoterapia).
Gli asini del Donkey Project si possono anche adottare, protagonisti di un welfare animale che ha dunque anche un senso politico: creare un ponte tra le comunità in un’area segnata dalla guerra per decenni. Asini e riconciliazione.

DA MANNAR CI SPOSTIAMO in Italia, a Nocera, città a nord di Salerno incuneata in una valle circondata da montagne coltivate ad agrumi e olive. Nella zona di Roccapiemonte, nella parte superiore di Nocera, c’è l’azienda della famiglia Soriente: Bed and Breakfast e ristorante di piatti tipici, limonaie e aranceti, olivi e stalle. Con una certa sorpresa ci si imbatte in una sessantina di asini di varie razze: dai piccoli ciuchi sardi ai giganteschi ragusani, dall’asino maltese al bianco dell’Asinara. Sono parcheggiati in attesa di attraversare un intero continente. E di spostarsi dal salernitano… a Giava. Sorride Antonia Soriente, docente di lingua e letteratura indonesiana all’Orientale di Napoli che a Nocera è nata ma che ha passato molti anni della sua vita nell’arcipelago delle 17mila isole. L’idea è venuta a suo marito Reza perché asini in Indonesia non ce ne sono, ma in compenso il latte del prezioso animale è molto richiesto. Non pelle per medicinali dunque né carne per il macello, ma un programma che alcuni imprenditori locali vorrebbero impiantare per commercializzare il latte d’asina. Famoso non solo nel nostro immaginario collettivo ma perché, rispetto a quello di vacca, pecora e capra, è molto più simile al latte materno umano e proprio per questo è l’alimento che più si presta a scongiurare allergie al latte vaccino.«Gli asini saranno trasferiti con un aereo commerciale tutto per loro – spiega la docente dell’unico corso di indonesiano in Italia – e in questo modo gli si evita un viaggio di settimane via nave col rischio di decessi e malattie».

GLI ASINI ALLOGGIATI nell’azienda di Nocera dovrebbero partire a fine gennaio per sbarcare a Surabaya, Giava orientale. Sarà un primo esperimento: il clima indonesiano non è né quello di Malta né quello dell’Asinara, anche se è vero che questi animali molto resistenti vivono bene in Asia da secoli – come dimostra il caso dello Sri Lanka – e in climi molto diversi. Il piccolo e solo apparentemente scontroso quadrupede è infatti un campione di adattabilità: l’asino domestico discende da specie selvatiche africane diffuse sulle coste orientale-settentrionali del continente. Si è poi diffuso a macchia d’olio, dall’Europa alle Americhe, dalla Siria all’Afghanistan, dall’Iran alla Russia, sino a Sri Lanka dove pare sia stato portato da commercianti arabi. In India ce ne sarebbero un milione e mezzo e in Cina, sebbene sia anche un paese importatore, ne vivrebbero undici milioni! Mancava giusto l’Indonesia. Dal 2018 non sarà più così.