Così il prosecco è diventato l’oro del Veneto
Reportage Il boom delle esportazioni ha fatto la fortuna delle colline dove si coltiva il celebre vitigno. Ma non tutti sono contenti della monocoltura industriale
Reportage Il boom delle esportazioni ha fatto la fortuna delle colline dove si coltiva il celebre vitigno. Ma non tutti sono contenti della monocoltura industriale
Tra Vicenza e Treviso si nota un graduale cambiamento nel paesaggio: dalle distese di mais ai filari delle viti. I due rappresentanti del Comitato Marcia Stop Pesticidi che incontro a Vittorio Veneto raccontano il paesaggio del poeta Andrea Zanzotto: i gelsi e la campagna veneta, i pesticidi e la distruzione dei campi. E poi il vino che «non è più quello del contadino», adesso fa il giro del mondo. Il boom dei vitigni veneti ha tanti nomi, come Pinot Grigio e Valpolicella, ma ad incarnare successo globale e crescita strepitosa è senza dubbio il Prosecco.
SI CHIAMA GLERA ed è il vitigno a grappolo bianco, base del prosecco. Da vino da tavola prodotto nell’area collinare di 15 comuni della provincia di Treviso a spumante che trascina tutto l’export del vino veneto, raggiungendo 540 milioni di bottiglie vendute. Il Doc esporta per il 75% e anche per le due Docg il mercato estero è fondamentale. Il 40% finisce nel Regno Unito, più del 20% negli Stati Uniti, a seguire Germania e Russia.
La fortuna economica per i territori del prosecco è arrivata con il successo mondiale delle bollicine e con l’istituzione, nel 2009, della Doc e delle due Docg (Conegliano-Valdobbiadene e Asolo-Montello). L’allora ministro dell’agricoltura Zaia, infatti, creò una Doc che comprende 9 province, tra Veneto e Friuli, e due Docg nelle aree di produzione storica del prosecco. I tre consorzi la pensano allo stesso modo: senza quella mossa il prosecco avrebbero potuto produrlo ovunque nel mondo.
Matteo Basso, ricercatore presso lo Iuav di Venezia, ha studiato la trasformazione paesaggistica e sociologica delle «colline del prosecco». Nella sua ricerca, realizzata tra il 2016 e il 2017, ha analizzato i cambi di destinazione d’uso dei suoli nell’area tra Valdobbiadene e Conegliano. Già nel 2012 i vigneti occupavano più del 60% della superficie agricola. «La grande espansione, però, è avvenuta nella Doc, ai margini delle Docg», spiega il ricercatore. La maggior parte delle terre occupate oggi dalle vigne erano campi. Il 52% era coltivato a seminativi, al 90% mais, quasi il 42% era prato stabile o pascolo, il 3% era bosco. Nell’area della Doc la tendenza è la stessa: filari di viti anche in pianura, dove prima non c’erano. Dove le estensioni coltivate si riducono, si vedono case alternate a campi coltivati e, a volte, circondate dalle viti.
IL CONSORZIO DELLA DOCG DI CONEGLIANO è saturo, si estende su quasi 8.000 ettari. Nelle 9 provincie della Doc gli ettari coltivati a glera, riconosciuti dalla denominazione, sono 24.450. Nella Docg di Asolo, dal 2011 al 2017, i nuovi impianti sono aumentati dell’80% circa. Ogni anno l’Unione europea concede un diritto di incremento della superficie vitata nazionale pari all’1% della stessa. I diritti di impianto vengono distribuiti alle regioni, che li concedono attraverso bandi. Ogni Consorzio di tutela adotta regole diverse per l’accettazione di questi nuovi impianti all’interno dell’aree di competenza. Per le due Docg vale l’adesione immediata: un nuova vite a glera entra automaticamente nella denominazione. Nel consorzio Doc, invece, vige il blocco, dal 2011. «I nuovi ingressi vengono regolati, per tenere in equilibrio domanda e offerta», sottolinea il presidente della Doc Stefano Zanette. Fuori dalla denominazione ci sono 7 mila ettari di glera, piantumati dopo il blocco, che potrebbero non diventare mai prosecco.
CRESCE LA DOMANDA DI TERRENI AGRICOLI e aumentano i prezzi. «Un terreno agricolo nella Docg di Valdobbiadene vale da 3 a 5 volte più di un terreno edificabile», racconta Matteo Basso. I produttori si allargano verso la Doc, dove i prezzi sono più bassi. Il bellunese è una nuova frontiera, anche a causa del cambiamento climatico. Terreni non vocati sono oggi adatti alla viticoltura. Anche in questo territorio sono nati gruppi di cittadini che hanno partecipato alla Marcia Stop Pesticidi.
«IL PROSECCO È IL NUOVO MATTONE, il nuovo oro», dice Matteo Basso. «Un ettaro di prosecco, tolte le spese, fa guadagnare molto di più di un investimento bancario» spiega Luca Ferraro, vignaiolo del consorzio Asolo-Montello. «È innegabile che ci sia stata una perdita di biodiversità in campo, il prosecco ha dato dei redditi che nessuno di noi prima vedeva», dice. I contadini che hanno scelto di abbandonare il mais, il grano o la soia erano stanchi di non guadagnare nulla. Nella filiera del prosecco i produttori sono l’anello forte, con «un reddito per ettaro di almeno 12-15 mila euro», spiega il presidente della Docg Asolo-Montello Armando Serena.
Secondo Innocente Nardi, presidente della Docg Conegliano-Valdobbiadene, la conformazione dei terreni della collina ha frenato gli speculatori: «Cercano grandi estensioni, meccanizzazione e logiche che permettano delle economie di scala». Il successo del prosecco ha attirato una miriade di soggetti: agricoltori e non. C’è anche chi ha investito e affidato l’intero ciclo produttivo a terzisti. «Abbiamo dato priorità ai giovani», sottolinea il presidente della Doc. Nelle cantine famose sono entrati capitali esteri, come nel caso della Mionetto, acquistata dal gruppo tedesco Henkell.
SE LA FORTUNA DEL PROSECCO DOVESSE FINIRE? Le prospettive di crescita ci sono e si manterranno anche nel prossimo futuro, dicono dal settore. C’è chi punta ad assicurarsi nuovi clienti e chi ad aumentare il valore di mercato. Non tutti i produttori, però, sono tranquilli. Secondo Ivo Nardi, viticoltore bio: «Il rischio di esposizione c’è e la mina più grossa è il mercato inglese, dopo Brexit». Tra i piccoli produttori c’è chi vorrebbe togliere la parola «prosecco» tenendo l’indicazione geografica, ma ciò «comporterebbe una drastica riduzione delle vendite».
Mentre esplodeva il fenomeno prosecco, il malessere del territorio diventava protesta. Il Comitato Marcia Stop Pesticidi è nato nella primavera del 2017 dalla volontà dei gruppi di mamme e delle associazioni ambientaliste, su ispirazione dei movimenti per i diritti civili americani. Nella primavera di quell’anno si è svolta la prima Marcia da Cison all’abbazia di Follina, eletta a simbolo della rinascita agricola del terzo millennio. Sin dalla sua prima edizione la marcia ha ricevuto adesioni al di fuori delle aspettative degli organizzatori, con migliaia di partecipanti.
«L’ALLARME PER L’USO DEI PESTICIDI nasce nell’area ai limiti della Docg, dove comincia la pianura», mi raccontano i due rappresentanti del comitato, «dove le case sono più vicine ai campi». Esiste un fattore percettivo che ha fatto nascere il movimento di protesta con la comparsa delle viti, e non prima: «Il veleno spruzzato si vede, arriva alle narici ed entra in casa», spiegano. Nella campagna sopra Vittorio Veneto, dove abita uno dei due, le vigne non sono arrivate: «Sono fortunato: posso stare in giardino anche nel periodo dei trattamenti».
I pesticidi colpiscono anche altre attività produttive, come racconta Ernesto, un apicoltore bio di Revine: «Nel mese di giugno portiamo le api in montagna: è il periodo delle acacie e dei trattamenti in pianura». Il problema della contaminazione esiste, sottolinea: «C’è chi ha comprato i terreni confinanti ai campi biologici, per paura che diventassero vigneti». Per Ernesto i problemi sono cominciati quando ha comprato 3 mila metri quadrati per mettere le arnie. »Sono arrivati i vigneti nel comune di Tarzo, dall’altro lato del lago, ma le api volano», racconta. «La prima volta che hanno cominciato ad irrorare i pesticidi mi sono trovato impreparato», ricorda. Nel giro di 15 giorni ha subito due avvelenamenti. Nel primo caso le api non sono tornate all’alveare, pochi giorni dopo ha trovato i cadaveri nelle arnie. È riuscito a farsi risarcire il danno per il secondo episodio: «Nel primo caso è difficilissimo da dimostrare, trovi gli alveari spopolati». Il terreno che ha comprato adesso può usarlo solo a metà, prima che inizino i trattamenti.
ANCHE I VIGNAIOLI DELLA FIVI, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, si interrogano sull’uso dei pesticidi. Luca Ferraro ha scelto il percorso biologico da quasi otto anni: «Tanti di noi sono in bio e tanti stanno per diventarlo, anche chi è convenzionale ha un’attenzione particolare», sottolinea. «Noi vignaioli siamo i primi a mettere il naso nelle vigne», spiega. Luca ricorda bene cosa voleva dire tornare a casa la sera dalle vigne e dover lavare i vestiti due volte in lavatrice perché la puzza non se ne andava. La prima spinta alla conversione è «personale e familiare», in seguito «la relazione con il consumatore attento».
Il dialogo tra contadini e comitati non sempre è facile. Secondo Luca Ferraro il problema sono coloro che sparano nel mucchio: «Ci chiamano portatori sani di morte, ma non sanno cosa vuol dire lavorare in vigneto». I vignaioli del trevigiano, con il sostegno di alcune associazioni, lavorano ad un protocollo per migliorare. Secondo il rappresentate Fivi in agricoltura non si può cambiare dall’oggi al domani: «Alla prima difficoltà il contadino, pur di salvare la produzione, fa peggio di quanto avrebbe fatto in convenzionale». «La conversione necessita formazione e supporto», aggiunge.
I consorzi, dal canto loro, sono unanimi nel dire che non hanno alcun potere impositivo sui loro membri in materia di prodotti fitosanitari. La capacità impositiva spetta ai comuni, che, almeno per le 15 amministrazioni del Conegliano Valdobbiadene, prevede la messa al bando, a partire dal 2019, dell’erbicida a base di glifosate e di alcuni principi attivi utilizzati sui vigneti.
L’ente sanzionatorio è la polizia locale, spesso poco formata, attivata dalle segnalazioni dei cittadini. Con i due rappresentanti del Comitato Marcia Stop Pesticidi andiamo a verificare che ci siano almeno 50 metri di distanza tra un nuovo vigneto e un campo da calcio. Il controllo sul territorio, infatti, viene affidato ai cittadini che documentano e denunciano.
I CONSORZI DI TUTELA puntano a sistemi di sostenibilità ambientale, economica e sociale come Equalitas. A cui si aggiunge l’applicazione della fascetta di stato che identifica la filiera: dall’uva alla bottiglia. Il presidente della Doc aggiunge: «Stiamo lavorando a una modifica del disciplinare, che escluda il glifosate e altri principi attivi». Si tratterà di una misura volontaria, ma se verrà approvata «chi li usa non potrà chiamare prosecco il suo prodotto», sottolinea.
I cittadini in marcia non sono preoccupati solo per la loro salute ma anche per quella del loro territorio. Tutela della biodiversità e salvaguardia del paesaggio sono temi centrali. Nell’aprile 2017 i circoli locali di Legambiente avevano denunciato la scomparsa di siepi e alberature e modifiche agli assetti idrogeologici. A dettare le regole sono, ancora una volta, i comuni. Per impiantare un vigneto bisogna presentare un progetto che «deve tenere conto di aspetti paesaggistici, di deflusso delle acque, di distanza dalle strade e del regolamento di polizia rurale», spiega il ricercatore Iuav Matteo Basso.
Il comune, dunque, è il soggetto che insieme alla Regione dovrebbe regolare la diffusione dei vigneti. Le amministrazioni locali, però, non hanno alcun potere sulla proprietà privata dei cittadini, non possono mettere il veto sull’uso del suolo. Possono mettere dei paletti attraverso il regolamento di polizia rurale, come accaduto a Revine Lago. I comitati cittadini hanno reso lampante da un lato la mancanza di strumenti adatti al governo del territorio, dall’altro una direzione politica non uniforme. L’iniziativa è stata lasciata a singoli comuni, che hanno regolato l’uso dei pesticidi o la distanza delle viti dai luoghi sensibili. E ne affrontano le conseguenze: come è successo a Pieve di Soligo, finito davanti al Tar dopo aver imposto ai nuovi impianti di vite, che prevedono l’uso di pesticidi, 50 metri di distanza dalle aree sensibili.
Il prosecco è diventato simbolo di un sistema produttivo e ha generato la spinta per cambiarlo. Il Comitato Marcia Stop Pesticidi promuove, infatti, un’agricoltura diversificata, stagionale e locale. Vuole creare una rete contadina sostenuta dai Gas e dai cittadini: «Vogliamo sottrarre un po’ di terra per fare cose diverse dal vino».
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