L’incontro con il professor Victor Del Litto, pontefice degli stendhaliani, avvenne a Grenoble, nel 1983, anno in cui si celebrava il secondo centenario della nascita di Henri Beyle: ovviamente Stendhal, cui era stata dedicata allora una mostra, ospitata nella ancora esistente casa del dottor Henri Gagnon, nonno materno di Beyle. Sarebbe valsa la pena fare il viaggio fino a Grenoble per darvi un’occhiata. Era prevedibile che nella scelta dei materiali da esporre, le mani le avesse messe sicuramente Del Litto. Chi, se non lui, avrebbe autorevolmente osato tirar fuori dalla cave della Bibliothèque Municipale di Grenoble, dove è conservata una autentica costellazione di manoscritti di Stendhal, qualche sacrale documento per una eccezionale ostensione? Non avrebbe potuto certo mancare, nella mostra, una delle tracce autografe più celebrate: il brogliaccio dell’Henry Brulard collocato infatti in una vetrina della mostra, nella sala centrale del casa del nonno, dove poteva aver scorrazzato Beyle da ragazzino.
Magia delle coincidenze. Associazioni di fatti e di pensieri. Vaghezza dei dettagli. Nelle pagine dell’Henry Brulard, la più diretta autobiografia di Stendhal, si scopre come dal terrazzo della casa Gagnon, affacciato sulla piazza di Grenoble, Henri decenne apprese la notizia gridata da qualcuno che a Parigi avevano tagliato la testa al re. Il resto della mostra consisteva in una serie di vedute di Grenoble con al centro il supernoto e celebrato ritratto di Stendhal in abiti consolari con la croce della Légion d’honneur.
Il 23 luglio 1983 la mostra era deserta. La si poteva esplorare con il massimo della comodità, avendo addosso tuttavia gli occhi di una custode che, dietro a un tavolino – anche biglietteria e piccola esposizione di cataloghi, cartoline e souvenir d’occasione –, seguiva ogni passo dell’unico curioso che si stava avventurando nell’universo stendhaliano esibito. Quel visitatore certo preso dalla fascinazione dei cimeli esposti nella mostra, li osservava con ostinata cura. Sostava a lungo davanti a ogni documento. Oltre al piacere d’essere così vicino a certe «sacralità», stava anche cercando di perdere tempo. Dopo la lentissima esplorazione della mostra avrebbe rifatto una passeggiata per il centro di Grenoble. Sostato ancora sulla place Grenette, ripercorso il giardino pubblico. Doveva far venire l’ora dell’appuntamento a casa del professor Del Litto, a mezza collina, oltre l’Isère, inerpicandosi su per rue Maurice Gignoux, nei pressi del Musée Dauphinois.
Sul cancelletto che dava sulla strada, brillava una targa in plastica: «Stendhal club». Dalla casa unifamiliare ad accogliermi, con accanto un agitatissimo cagnetto, sbucò il professore. Salutò l’ospite italiano con occhi ammiccanti. Allora Victor Del Litto era al massimo della fama. Aveva da poco superato i settanta anni e all’Università di Grenoble, dove dal 1957 aveva insegnato letteratura comparata, della facoltà di lettere, dal 1968, era il decano. Facendomi entrare, Del Litto mi guidò verso un grande vano senza alcuna pretesa: un tavolo rotondo ricoperto da una variopinta tovaglia di plastica, alcune sedie, un altro tavolo rettangolare, spoglio, un divanetto e due poltrone in skai, dove ci sistemammo. Da lì traguardai una vetrinetta, tipo cristalliera – più tardi ne scoprii il contenuto – e uno scaffale con una serie impettita di libri. Sorpreso a fissare quei dorsi il professore si affrettò a precisare: «È l’opera completa di Stendhal in giapponese». Dal mio punto d’osservazione si intravvedeva, oltre una porta spalancata, quel che doveva essere lo studio: una sublime nuvola di fogli e libri in un imprendibile caos. Così mi sembrò.
Mi complimentai subito per la mostra: ero onorato di incontrare finalmente l’uomo che aveva dedicato tanta attenzione all’opera di Stendhal, particolarmente nell’edizione della Pléiade. Soprattutto, per me, il volume dei Voyages en Italie che finalmente, «grazie à vous che avete stabilito il testo, presentato e annotato con una formidabile cronologia», ha trovato la propria definitiva forma. «E grazie al vostro La vie de Stendhal (in italiano Stendhal vivente) ero stato ammesso, da giovane studente, ai misteri della vita dell’amatissimo autore del Rosso e il nero». Inoltre il coinvolgente Album Stendhal, del 1966, Iconographie réunie et commentée, diventato una rarità bibliografica.
Del Litto ascoltava compunto. Un leggero sorriso mostrava il suo compiacimento. Forse al fondo poteva anche pensare fossi il solito italiano complimentoso. A un tratto, con mano a mezz’aria, mi fermò. Voleva precisare che l’opera sua su Stendhal altro non era che il prosieguo di quella grande impresa iniziata da Henri Martineau il quale, tra il 1927 e il 1937, con ben ottantadue volumetti delle edizioni Le Divan, aveva «messo in ordine» l’opera di Stendhal, pubblicando il possibile, dai romanzi alla corrispondenza: «Ricorderete – precisò Del Litto – come Martineau, che era un medico, fondando a Parigi la rivista “Le Divan” evolutasi poi in casa editrice, fosse stato per anni punto di riferimento degli studi stendhaliani: un grande precursore con fondamentali opere sue, Itinéraire de Stendhal, Le calendrier de Stendhal, Le coeur de Stendhal…».
Mentre Victor Del Litto, che mi aveva accolto nella sua casa, con molta onestà intellettuale rendeva omaggio ai suoi predecessori, non potevo certo eludere il fatto che quel signore fosse, per fama, un brillante professore, decrittatore di manoscritti stendhaliani, principale «editore» delle opere di Stendhal, fondatore e direttore di «Stendhal Club», una rivista di rilievo internazionale. E un infaticabile animatore della vita culturale di Grenoble. A quel punto mi fu impossibile evitare di chiedergli come e dove fosse iniziato il suo rapporto con Stendhal. Dalle sue sottili labbra sembrò affiorare un sospetto di sorriso. Gli occhi di Del Litto si dilatarono impercettibilmente dietro alle lenti d’un esile occhiale. Fu per me l’impressione di un attimo. Una inaspettata coincidenza. Una associazione tipo un lampo fugace. Impossibile sfuggire alla visione che si formò nella mia mente. Non più il volto dell’illustre professore che mi osservava, ma quello del «mito» sovrapposto al suo. In una vagheggiante e inaspettata rassomiglianza, al volto di Del Litto si era sovrapposto quello di Stendhal, con l’espressione di compiaciuta serenità, come appare nel ritratto che gli fece Södermark nel 1840 a Roma. In me si giocò una possibile perversione dell’immaginario: la pretesa di sorprendere l’invisibile o l’effetto prodotto della fortissima autoidentificazione con Stendhal che Del Litto emanava.
Riaffiorata come un mormorio lontano, la voce del professore mi riportò alla realtà: «Per me il vero coinvolgimento con Stendhal avvenne probabilmente e soprattutto quando, influenzato dal mio maestro Pietro Paolo Trompeo, un autentico stendhaliano, mi dedicai a scrivere La vie de Stendhal. Mutò allora grazie all’opera letteraria proprio di Stendhal il mio modo di percepire il mondo e la vita, e intesi come attraverso la sua opera si possano comprendere le fobie, giustificare i timori, le incertezze, i dubbi del nostro quotidiano… Anche se – proseguì Del Litto dopo una pausa – noi stendhaliani siamo generalmente non troppo amati, soprattutto a Grenoble, i naturali eredi del loro “maestro di curiosità” quale fu Beyle: il non conformismo e soprattutto la totale libertà di pensiero».
«Mi pare – osservai – che sia un fenomeno assai diffuso. Il tema del profeta in patria è antico quanto il mondo. Nessuna città ne sembra immune».
«Certo, ma la “scelta” di Stendhal non sembrò di poco conto… Indicò nel testamento che fosse incisa sulla lapide della propria tomba l’attribuzione Milanese – lo si può constatare al cimitero di Montmartre ove è sepolto –, negando di fatto la propria famiglia e la città natale. Cosa che suscitò nei grenoblesi un certo imbarazzo. Per quanto possa sembrare strano arriva fino a oggi… Ed è il tema che ho affrontato nel numero di ‘Stendhal club’ appositamente preparato per questo secondo centenario». Obiettai che è supernoto quanto Stendhal amasse Milano. Vi era arrivato da sottotenente diciassettenne con la grande armée guidata dall’allora console Napoleone Bonaparte. Era il 10 maggio 1800. Ancora una scheggia dall’Henry Brulard: «Un mattino entrando a Milano in una bella mattinata di primavera, e che primavera! E in che paese del mondo! Milano… amo questa città. Qui ho provato le più grandi gioie. Questa città divenne per me il più bel luogo della terra. Non sento affatto il fascino della mia patria, ho per il luogo dove sono nato una ripugnanza che arriva fino al disgusto fisico… L’Italia, il più bel paese del mondo…». L’ evocazione di Milano diede l’occasione a Del Litto di dispiacersi che il «tutto Stendhal» non fosse riunito in unico centro. Infatti a Milano, presso la Biblioteca Sormani, è conservato un Fondo stendhaliano, parte della biblioteca di Stendhal e un considerevole numero di manoscritti.
Il professore si alzò. Sparì per un attimo oltre la porta dello studio. Riapparve con una copia della rivista. Il primo articolo dello Special pour le bicentenaire, firmato Victor Del Litto, era mirato: Stendhal, Grenoble e les Grenoblois: «Du vivant de Stendhal, la presse grenobloise ne s’est guère préoccupée d’annoncer ses œuvres et d’en rendre compte…».
«Speriamo – sospirò Del Litto – nonostante tutto, di riuscire a realizzare nella casa Gagnon, dove è aperta la mostra, un museo permanente».
Il Musée Stendhal sarà inaugurato nel 2012. Victor Del Litto non riuscirà a vederlo. Se ne era andato nel 2004. Lo stendhalesco professore un suo museo privato però già lo aveva. Stava nella vetrinetta sbirciata appena entrato nella sua casa. Esponeva cimeli del culto di una vita: un piatto con effigie di Stendhal e, tipo didascalia, un biglietto autografo (sicuramente di Del Litto) «Assiette avec visage vraie de Stendhal»; un tappo di sughero di vino Stendhal; tovagliolino in carta di un Restaurant Stendhal; conto di una cena a un Restaurant Stendhal; autoadesivi del bicentenario stendhaliano in piccole cornici di plastica bianca; tre bottiglie (vuote) di vino Stendhal; carta dell’hotel Stendhal a Parma; piatto con albero genealogico di Stendhal…