Cose «da grandi» e politici piccoli piccoli
Guerra ai giovani I cosiddetti «giovani» attirano le campagne di odio di maschi attovagliati ai banchetti del potere ma pongono questioni generali: parlano della sopravvivenza della specie e del diritto alla città, del modello di sviluppo e delle forme di vita in comune contro il mercato selvaggio
Guerra ai giovani I cosiddetti «giovani» attirano le campagne di odio di maschi attovagliati ai banchetti del potere ma pongono questioni generali: parlano della sopravvivenza della specie e del diritto alla città, del modello di sviluppo e delle forme di vita in comune contro il mercato selvaggio
La notizia c’è, e questa volta è di quelle buone: qualcuno lassù, nei palazzi, ha paura dei giovani. Dopo anni passati a chiederci che cosa ne sarebbe stato delle generazioni cresciute dopo la grande crisi della sinistra e negli interminabili anni di bassa marea dei movimenti sociali, gli esponenti delle destre parlamentari sono lì a ricordarci ogni giorno che sentono il fiato sul collo di una generazione che rivendica spazi di libertà, che non abbocca alla farlocca scissione tra diritti sociali e diritti civili e che cerca di strappare brandelli di futuro.
È una campagna che da strisciante si è fatta quotidiana, la cui premessa sta nel primo provvedimento del primo consiglio dei ministri presieduto da Giorgia Meloni: col decreto anti-rave la destra uscita vincente dalle urne si proponeva di affrontare l’annoso tema delle feste illegali che servivano a migliaia di persone a ritrovarsi ed evadere dalla quotidianità. Il fatto che questa vicenda fosse additata come prioritaria in un paese colpito dalla crisi e uscito malconcio dalla pandemia la diceva già lunga sulle intenzioni bellicose dell’esecutivo.
Così, questa volta non senza qualche contributo dalle parti dell’opposizione, i nostri governanti hanno scagliato le loro coraggiosissime invettive contro i ragazzi e le ragazze di Ultima generazione, colpevoli di imbrattare i monumenti. Il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, uno che l’altro giorno al Salone del libro di Torino si è vantato di possedere «quindicimila libri» (dite la verità: quante persone erudite conoscete che contano uno a uno i volumi impilati nelle loro librerie?) ha ovviamente invocato pene più severe contro gli aggressori del patrimonio. Eppure da anni, al primo accenno di protesta, i politici pur riconoscendo la legittimità di ogni opinione (signora mia, ci mancherebbe) esortano strumentalmente i manifestanti a sposare tecniche pacifiche, come se ogni volta si trovassero di fronte a minacce eversive. Eccoli accontentati, per la prima volta assistiamo alle azioni di un movimento nonviolento: gli attivisti si consegnano agli uomini in divisa con calma olimpica, ma non va bene neppure questo. Adesso che i cambiamenti climatici mostrano il loro volto apocalittico anche nelle nostre città, l’incontenibile Ignazio La Russa esorta quegli stessi che disperatamente avevano lanciato grida d’allarme sul global warming ad andare a spalare in Romagna, come se questo non stesse avvenendo.
E che dire degli studenti accampati in mezz’Italia per denunciare la disastrosa condizione degli affitti nelle città universitarie? Da giorni si sprecano le dichiarazioni reazionarie di politici e opinionisti sulla retorica dei sacrifici. Il concetto, in questo caso, è che un ventenne che reclama il diritto di abitare in città sia un bamboccione viziato, da riportare alla dura legge della vita al tempo della crisi. Devono andarsene all’estrema periferia, dicono editorialisti e parlamentari dalle loro terrazze vista duomo, dove i prezzi sono più abbordabili (il che è falso) o addirittura in un comune limitrofo. Il cerchio qui si chiude: dopo anni di guerra alla «movida» e allarmi sul decoro volti ad addomesticare le zone urbane popolate dai giovani (leggi: chiudere gli spazi pubblici a chi non paga), ecco che si sancisce definitivamente che i centri cittadini sono da intendersi come gated communities riservate ai ricchi o parchi a tema destinati ai turisti consuma-e-fuggi. Se ne vadano al di là delle mura di cinta, che diamine! Magari, già che ci sono, ne approfittino per spezzarsi la schiena lavorando nei campi, come da appello del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida.
C’è anche un’altra notizia, però. Ed è anche questa positiva: soltanto la miopia di chi sta in alto può far pensare che ci si trovi davanti a una questione esclusivamente generazionale. I cosiddetti «giovani», quelli che attirano le campagne di odio di maschi attovagliati ai banchetti del potere, si mobilitano perché hanno meno sconfitte sulle spalle e magari più energie in corpo. Ma pongono questioni generali che difficilmente si possono rinchiudere dentro lo schema della rivalsa adolescenziale. Parlano della sopravvivenza della specie e del diritto alla città, del modello di sviluppo e delle forme di vita in comune contro il mercato selvaggio. Discorsi «da grandi» all’epoca dei potenti piccoli piccoli.
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