Cosa emerge al fondo della dialettica tra la vita e la sua immagine
Narrativa "Simulacri" di Cristiano Spila, per Calibano editore. Sulla tracce del pensiero di Leon Battista Alberti, i quattro racconti di questo libro ruotano attorno alle statue, la cui perennità fronteggia muta la continua trasformazione dell’individuo vivo e del suo mondo
Narrativa "Simulacri" di Cristiano Spila, per Calibano editore. Sulla tracce del pensiero di Leon Battista Alberti, i quattro racconti di questo libro ruotano attorno alle statue, la cui perennità fronteggia muta la continua trasformazione dell’individuo vivo e del suo mondo
I corpi letterari non orbitanti nel piattume maggioritario della narrativa di oggi sono in genere meteore che brillano per un attimo alla periferia della galassia editoriale per poi finire, con la stessa rapidità, fuori catalogo. Prima che faccia la stessa fine, vale la pena di farsi abbagliare dai Simulacri di Cristiano Spila (Calibano editore, pp. 82, euro 10).
IL GRANDE Jorge Luis Borges avrebbe amato i quattro racconti di questo minuscolo libro, il cui filo rosso è costituito dalle statue, la cui perennità fronteggia muta la continua trasformazione dell’individuo vivo e del suo mondo. Nel primo racconto la statua di Afrodite Milesia appare in sogno al filosofo Iciarco. Muta e immobile, sebbene sommersa, essa è l’unico elemento inalterato di una Mileto progressivamente allagata dal dinamismo metamorfico di un’acqua fangosa e organica.
Il secondo e il terzo racconto, che hanno come protagonisti Astrolabio, figlio di Abelardo ed Eloisa, e il filosofo Emmanuel Swedenborg, sono legati al primo dal flusso trasformativo dell’elemento acquatico iniziale che diventa ghiaccio e neve. Irrigidimento, dunque, di ciò che fluisce in superficie immobile e riflettente: il basso continuo del fluido che si specchia nel ghiaccio in cui si è trasformato conduce al quarto racconto.
In quest’ultima partita tra la vita e la sua immagine è la statua a incarnare la dinamica vitalità del corpo mentre l’individuo vivo ne incarna la paralisi finale. Nella perenne giovinezza della statua di ragazzo che porta alle labbra una coppa (statua realmente esistente: monumento sepolcrale di Giulio Caio Batillo, liberto di Livia, moglie di Augusto) il vecchio scrittore oppiomane De Quincey riconosce un se stesso giovane, fissato per sempre in una vitalità che nel suo corpo reumi, artrosi e altre realizzazioni organiche dell’immobilità statuaria hanno irrigidito nell’effige di una vecchiaia prossima alla fine.
QUANTI SPECCHI offre, insomma, questo libro? Il delirio finale di un personaggio allucinato come l’oppiomane De Quicey dà al lettore il senso e la vertigine di un’infinita moltiplicazione per sdoppiamento delle immagini riflesse: c’è il prima – l’acqua allo stato fluido – che si specchia nel suo dopo – il ghiaccio. C’è il dopo – il vecchio in carne e ossa – che si specchia nel suo prima – la statua giovane. C’è la rigidità quella della statua: di giovinetto, ma pur sempre statua – che si specchia nella rigidità della carne viva, ma quasi pietrificata, del vecchio.
C’è poi la vita storica che si specchia nella letteratura, poiché tutti i personaggi del libro sono storici: Batillo e il suo sepolcro nel Monumentum Liviae sull’Appia; Swedenborg, i cui Arcana coelestia sono centrati sul rispecchiamento tra ordine materiale e spirituale; Astrolabio, nato da Abelardo ed Eloisa nel 1118. Soprattutto, in principio c’è Iciarco, nome inventato da Leon Battista Alberti per designare il rettore che garantisce l’ottimo governo, insomma l’artefice di un perfetto ordine che è, in questo grande umanista, soprattutto figurativo e architettonico. Alberti è autore infatti di un De statua che sistematizza, insieme ad altri due noti trattati, la nuova arte rinascimentale.
Ecco, dunque, nell’infinito doppiarsi degli specchi, la chiave: l’idea albertiana che oppone, in senso spaziale, l’oggetto e la sua rappresentazione per governarlo attraverso la forma.
A questo programma albertiano il libro dà un esito incerto e aperto, di infinita moltiplicazione e ripetizione, come se ogni rappresentazione che intende chiudere l’oggetto nella sua immagine desse luogo ad un nuovo oggetto da governare attraverso una ulteriore rappresentazione. La dialettica tra vita e sua immagine, tra fluido e cristallizzato, tra immortalità e linea d’ombra è dunque, ci dice Spila, costituzionalmente, diabolicamente aperta.
LIBRO DIFFICILE, cerebrale, astruso? Il rischio della cristallizzazione (geometrica, simmetrica, simbolica) che talvolta perde contatto con la vita si percepisce qua e là. Ma è un tema (e un rischio) sottile ed immenso, quello dell’artificio, che è tutt’uno con l’arte. Questo rischio è in definitiva l’effetto collaterale del fatto che il libro qui descritto è vera letteratura.
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