Mi raccontate con parole vostre la lettura e la discussione che abbiamo fatto insieme questa mattina?
«Noi abbiamo parlato della mafia».
«Abbiamo iniziato dalla lettura, delle pagine del libro Per questo mi chiamo Giovanni, perché lì parlava della mafia e dopo abbiamo cominciato a parlarne da soli».
«Abbiamo sentito anche la voce di Giovanni Falcone che raccontava come combattere la mafia, ma poi lui e il suo amici Paolo Borsellino, anche lui giudici, sono stati uccidi dalla magia con delle bombe».
«Io questa parola l’avevo già sentita».
«La parola mafia apre per la prima volta in un vocabolario nel 1868, c’è scritto sul nostro libro, e vuol dire miseria di chi crede che valga solo la legge della prepotenza».
«Io ho sentito parlare anche di ‘ndrangheta e camorra, che poi sono come la mafia, perché sono tutti criminali che ammazzano le persone per soldi, perché vogliono diventare tutti sempre più ricchi e si ammazzano per quello».
«Il libro è come il testo che abbiamo letto, con un papà che spiega al figlio tutte le cose e lui, il papà, risponde».
«A me è piaciuto come testo anche se parla di cose molto brutte e anche di morte, di adulti ma anche di ragazzini. Anche se se è una cosa brutta noi dobbiamo saperla per non farla».
«Io ho sentito dire in casa mia che ma mafia non c’è solo in Sicilia o nelle regioni del sud dell’Italia, ma in tutte le regioni d’Italia, anche qui da noi in Emilia. Infatti qualche anno fa c’è stata una mafia che si chiamava Aemilia e c’erano molti mafiosi che sono stati catturati e messi in prigione».
Ma avete capito cosa è la mafia?
«Sì. Per me è spiegato bene».
«Si capisce bene dall’esempio che fa. Come se la classe è un paese con 27 abitanti e c’è un abitante che un giorno viene a scuola e c’è questo Tonio che ordina a un suo amico di dargli o portargli dei soldi. Senza motivo. Una cosa ingiusta. Allora questo bambino la dice a queste sue maestre e le maestre mettono in punizione Tonio e mandano a chiamare anche con i suoi genitori e insomma risolvono la questione così».
«Io ho un cugino che lo chiamiamo Tonio, ma lui si chiama Antonio. Forse si chiamava Antonio anche il Tonio del libro».
«Ma cosa c’entra?».
«Se le cose vanno così, cioè il bambino chiama la maestra e gli dice che c’è un suo compagno prepotente che vuole dei soldi da lui senza motivo, e la maestra interviene, tutto va bene. La maestra, che è come la polizia, rimette le cose a posto e spiega a Tonio che non può fare quello che vuole, non può chiedere dei soldi a chi vuole, non può pretendere dei soldi magari solo perché lui è il più forte della classe, quello che può picchiare tutti, forse anche la maestra. Ma ci può essere anche l’altro caso, quello della mafia, dove Tonio va a scuola e chiede sempre dei soldi a un suo compagno o anche a più compagni e gli dice di non dire nulla alla maestra altrimenti lui li picchia, lui picchia tutti, li minaccia. Dice che devono portargli i soldi che vuole domani e lui dice che ha ragione, anche se non c’è nessun motivo, anche se non è il suo compleanno, mettiamo, loro devono dargli questi soldi e ogni tanto glieli devono portare sempre altrimenti lui fa un casinò enorme e picchia tutti e tutti gli altri ubbidiscono, allora questo è il caso della mafia».
«Sembra strano che tutti ubbidiscono, dice il libro, ma se per cento anni dei bambini davano sempre soldi a chi era più prepotente, dopo sembra normale, alla lunga, sembra normale che tutti devono dare i soldi al più forte, al prepotente».
«Per me i mafiosi sono come dei bulli perché anche i bulli certe volte chiedono dei soldi a dei loro compagni e li minacciano dicendo che se non li portano domani, loro la pagheranno cara e saranno picchiati».
«Per me l’errore è che questi bambini che devono portare i soldi non lo dicono alle loro maestre».
«Non lo dicono perché hanno paura di essere presi in giro dal bullo e dai suoi amici. Oppure perché si sentono spaventati».
«Io ho sentito che anche alle scuole medie c’era un bullo che aveva fatto questa cosa di prepotenze con dei compagni di classe, ma dopo se ne sono accorti e l’hanno detto alle prof e anche alla preside e adesso lui non chiede più ai suoi compagni di portargli i soldi».
«Io, anche se avessi i soldi, perché non li ho, al bullo mafioso non glieli darei».
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