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Corte Suprema Usa: l’orientamento sessuale non è un motivo di licenziamento

Corte Suprema Usa: l’orientamento sessuale non è un motivo di licenziamento

Trump bocciato quattro volte La Corte Suprema ha votato per mantenere la legge sui diritti civili che protegge dalle discriminazioni i lavoratori Lgbtqi+ stabilendo che nessuna persona può essere licenziata per il proprio orientamento […]

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 16 giugno 2020

La Corte Suprema ha votato per mantenere la legge sui diritti civili che protegge dalle discriminazioni i lavoratori Lgbtqi+ stabilendo che nessuna persona può essere licenziata per il proprio orientamento sessuale, confermando dunque la validità della del 1964, secondo cui è illegale la discriminazione dei datori di lavoro basata sul genere. Il voto è stato preso con una maggioranza di 6 contro 3, con uno dei giudici scelti da Trump, Neil Gorsurch, che si è unito alla parte più liberal.

«Un datore di lavoro che licenzia un individuo per essere omosessuale o transgender licenzia quella persona per tratti o azioni che non avrebbe messo in discussione nei membri di un genere diverso. Il genere svolge un ruolo necessario e non trascurabile nella decisione, esattamente ciò che il Titolo VII vieta», ha scritto il giudice Neil Gorsuch menzionando direttamente il Titolo VII della legge sui diritti civili del 1964. La decisione è l’affermazione più significativa dei diritti Lgbtqi+ negli Stati Uniti dalla decisione della Corte Suprema del 2015 che ha legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Prima di questa sentenza, la discriminazione sul lavoro per la comunità Lgbtqi+ era ancora tecnicamente legale in gran parte della nazione, visto che meno della metà degli stati Usa ha leggi che vietano esplicitamente la discriminazione sul posto di lavoro sulla base dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere.

Questa non è stata l’unica notizia ad arrivare dalla Corte Suprema. Scotus ha dichiarato che non accoglierà gli appelli di tutta una serie di casi riguardanti le leggi sulle armi da fuoco, bloccando gli attivisti che vorrebbero ampliare ulteriormente i diritti riguardanti il possesso di armi protetto dal Secondo Emendamento.

Questo rifiuto di considerare gli appelli convalida le sentenze restrittive a riguardo deliberate dalle Corti inferiori. La decisione arriva poche settimane dopo il rifiuto del tribunale di emettere un parere sostanziale nel suo primo caso sul Secondo Emendamento in quasi un decennio.

Un’altra decisione della Corte Suprema riguarda le cosiddette leggi dello Stato santuario della California che limitano la cooperazione tra le forze dell’ordine e le autorità federali sull’immigrazione. L’amministrazione Trump aveva chiesto al tribunale di intervenire e rivedere la legge ma il tribunale si è rifiutato di farlo. Come è consuetudine della Corte, il suo rifiuto non è stato motivato. Come quarta decisione la Corte Suprema ha rifiutato di riesaminare la dottrina conosciuta come doctrine of qualified immunity, una teoria giuridica che, offrendo una speciale protezione giurisdizionale ai pubblici ufficiali, è diventata la causa maggiore deegli atti di violenza della polizia Usa.

David Cole, direttore legale nazionale dell’American Civil Liberties Union, ha definito la decisione profondamente deludente.

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