Corte federale di New York: «Illegale la raccolta dati della Nsa»
Datagate Il tribunale d’appello federale di New York, ha stabilito che quanto rivelato da Edward Snowden, ovvero la mastodontica raccolta di metadati da parte della National Security Agency americana, attività giustificate […]
Datagate Il tribunale d’appello federale di New York, ha stabilito che quanto rivelato da Edward Snowden, ovvero la mastodontica raccolta di metadati da parte della National Security Agency americana, attività giustificate […]
Il tribunale d’appello federale di New York, ha stabilito che quanto rivelato da Edward Snowden, ovvero la mastodontica raccolta di metadati da parte della National Security Agency americana, attività giustificate con la finalità della lotta al terrorismo, è illegale. Poco dopo la decisione della Corte, dalla Casa bianca è stata sottolineata la necessità di «trovare un meccanismo alternativo» a quello utilizzato dall’agenzia di sicurezza americana.
La sentenza ha tutti i contorni della decisione storica, per due motivi principali. In primo luogo perché conferma quanto reso noto da Snowden, l’ex agente dell’agenzia che ha svelato al mondo le tecniche di raccolta dei dati operata dagli Usa. Il fatto che Edward Snowden al momento sia in Russia, dopo essere transitato da Hong Kong e che – qualora tornasse negli Usa – si ritroverebbe in carcere, evidenzia ancora di più il peso della decisione della Corte federale e permette un rivincita all’ex analista attaccato da gran parte dei conservatori americani e non solo. In secondo luogo la Corte – con la sua sentenza di 97 pagine – ha stabilito che quelle attività di clamorosa raccolta dei dati da parte della Nsa sarebbero da ritenersi, in verità, escluse dal Patriot Act e ai suoi successivi rafforzamenti per combattere la minaccia terroristica.
Siamo di fronte, questo il messaggio della Corte di New York, ad un atto che non è stato autorizzato dal Congresso. Anzi, specificano i giudici: se il congresso avesse voluto, avrebbe potuto operare per la sicurezza dei suoi cittadini, con metodi ben più leciti. Il riferimento al Patriot Act finirà per scatenare una discussione che si tingerà ben presto di contorni politici, anche in vista delle prossime elezioni presidenziali (c’è da credere che questa sentenza influenzerà non poco l’attuale dibattito politico americano), perché la sentenza è arrivata proprio ad un mese dalla scadenza della Sezione 215 del Patriot Act, quella parte del provvedimento che istituisce il programma di raccolta di dati e informazioni nell’ambito della lotta al terrorismo.
Nel definire illegale quel programma, il giudice Gerald E. Lynch ha specificato che la Corte lo ha fatto «nella piena consapevolezza che se il Congresso decidesse di autorizzare un programma di così vasta portata e senza precedenti, avrebbe tutte le possibilità di farlo, senza alcuna ambiguità».
Come hanno riportato ieri le agenzie, secondo le associazioni per la difesa delle libertà civili che hanno presentato il ricorso che ha portato alla sentenza di ieri, l’attività di raccolta delle informazioni dovrebbe essere fermata, perché violerebbe il diritto alla privacy dei cittadini americani. Per altri, invece, la norma inserita nel Patriot Act (varato all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001) dovrebbe essere rinnovata o solo modificata.
La stessa Casa bianca si sarebbe espressa in questo modo, sottolineando la rilevanza della sentenza. Al Guardian Ned Price, portavoce della presidenza americana, ha specificato che «sstiamo valutando la sentenza emessa; il presidente è stato chiaro e crede che dovremmo terminare il programma di raccolta dei metadati stabilito dalla Sezione 215 nella sua forma attuale, creando un meccanismo alternativo per preservare le capacità essenziali del programma».
Più duro il repubblicano McCain che ha commentato la decisione presa a New York come «grave». «Le persone si sono dimenticate dell’11 settembre», ha detto. In realtà questi riferimenti all’«11.9» così come ad una più generale necessità di salvaguardare il paese dal terrorismo, non centrano il punto. La questione in gioco è un’altra: ovvero la capacità di registrare e immagazzinare, in totale spregio della privacy, masse impressionanti di dati che possono essere non rilevanti ai fini della lotta antiterrorismo.
Quest’ultimo aspetto appare, come già evidenziato dalle rivelazioni di Snowden, come una scusa per procedere a una schedatura e profilazione di massa della popolazione. Perché? «Perché non si sa mai», è la risposta preferita dei fautori dei sistemi più ottusi di sicurezza, non solo informatica.
Nelle 97 pagine con cui la Corte spiega la propria posizione, i passaggi più interessanti si condensano da pagina 58 in avanti. Innanzitutto la Corte stronca il concetto di «rilevanza», utilizzato dal Congresso e più in generale dalla politica americana – e non solo – per giustificare la raccolta di una mole di dati che – ricordiamolo – è impressionante. Parliamo dei metadati, ovvero tutte quelle informazioni connesse ai contenuti intercettati via telefono o mail. Secondo la Corte, in pratica, il governo avrebbe scelto di specificare che i metadati raccolti in relazione alle telefonate – «in una quantità tale da non contenere solo elementi rilevanti» – «sarebbero comunque rilevanti perché possono consentire alla NSA, in qualsiasi momento, in futuro, di utilizzare le sue capacità di analisi per identificare le informazioni rilevanti».
Siamo invece d’accordo, osservano i giudici, con chi ha fatto ricorso contro questa teoria e contro tale «ampio concetto di rilevanza» che sarebbe senza precedenti e «ingiustificato». Un duro colpo quindi alla necessità di collezionare così tanti dati, come già emerso dalle rivelazioni di Snowden.
ABBONAMENTI
Passa dalla parte del torto.
Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento