Corruzione, corte d’appello aumenta la pena per Lula (che resta libero)
Brasile Ben nota è del resto la parzialità del magistrato relatore di entrambi i processi, João Gebran Neto, che non solo è legato a Sergio Moro da un rapporto di amicizia ma ha anche intrattenuto - come è emerso dalle rivelazioni di Intercept sulla Lava Jato - un’illecita collaborazione con la task force presieduta da Deltan Dallagnol
Brasile Ben nota è del resto la parzialità del magistrato relatore di entrambi i processi, João Gebran Neto, che non solo è legato a Sergio Moro da un rapporto di amicizia ma ha anche intrattenuto - come è emerso dalle rivelazioni di Intercept sulla Lava Jato - un’illecita collaborazione con la task force presieduta da Deltan Dallagnol
Nell’interminabile farsa giudiziaria contro Lula, il capitolo scritto mercoledì dal Tribunale Regionale Federale della 4.a Regione (Trf-4), pur clamoroso, era in qualche modo prevedibile: a confermare in secondo grado la condanna dell’ex presidente per corruzione e riciclaggio di denaro nel processo sul caso della tenuta di Atibaia nello stato di São Paulo – con un aumento di pena da 12 anni e 11 mesi a 17 anni, 1 mese e 10 giorni – sono stati gli stessi giudici che nel gennaio del 2008 avevano dato seguito all’aberrazione giuridica rappresentata dal primo processo contro Lula, quello dell’appartamento di tre piani a Guarujá, il famoso Triplex (anche in quel caso inasprendo la pena).
Ben nota è del resto la parzialità del magistrato relatore di entrambi i processi, João Gebran Neto, che non solo è legato a Sergio Moro da un rapporto di amicizia ma ha anche intrattenuto – come è emerso dalle rivelazioni di Intercept sulla Lava Jato – un’illecita collaborazione con la task force presieduta da Deltan Dallagnol. Non c’era dunque molto da aspettarsi dalla sentenza d’appello sul caso Atibaia, in cui Lula è accusato di aver ricevuto una tangente di un milione di reais dalle imprese di costruzione Oas, Odebrecht e Schahin sotto forma di ristrutturazioni dell’immobile in cambio di contratti vantaggiosi con la Petrobras.
Un processo fotocopia rispetto a quello sul Triplex, in cui, ancora una volta, l’immobile non è suo – la tenuta è di proprietà di Fernando Bitter, il figlio di un suo amico di lunga data – e in cui non c’è traccia di alcuna contropartita ricevuta da Lula per le ristrutturazioni eseguite.
Ritenendo «non di fondamentale importanza la proprietà formale dell’ex-presidente e materiale di Bittar» o viceversa, Gebran ha respinto tutte le osservazioni della difesa: la sentenza di primo grado della giudice Gabriela Hardt con il suo copia e incolla di interi brani di quella di Moro nel processo sul Triplex non avrebbe nulla di irregolare, le rivelazioni di Intercept sarebbero state ottenute in maniera illegale «come sanno anche le pietre» e, tra molto altro, la decisione della Corte Suprema in base a cui, nella fase finale del processo, un pentito non può pronunciarsi dopo l’imputato da lui accusato (come invece avvenuto nel caso Atibaia e in diversi altri), sarebbe solo una norma processuale senza effetto retroattivo (benché in realtà abbia già condotto all’annullamento di due condanne).
Ed è proprio quest’ultimo punto, interpretato come un affronto al Supremo tribunale federale, a rendere la decisione dei giudici del Trf-4 particolarmente clamorosa, rivelando una guerra in atto all’interno dell’organo giudiziario brasiliano tra difensori e critici dell’ormai screditatissima Lava Jato.
Quanto a Lula, non tornerà almeno per il momento in carcere. Con la decisione della Corte Suprema sull’incostituzionalità dell’arresto dopo la condanna in secondo grado, anche per questo processo, come per quello del Triplex, bisognerà aspettare che la sentenza passi in giudicato.
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