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Don Ciotti: «Corruzione come la mafia»

Don Ciotti: «Corruzione come la mafia»La manifestazione di Libera a Bologna – Giancarlo Donatini

Bologna In duecentomila per la giornata in memoria delle vittime della mafia. Don Ciotti attacca la legge sulla responsabilità civileei magistrati. E al leader della Lega Salvini: «Cacciare i corrotti, non i migranti»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 22 marzo 2015

Un fiume impressionante di persone ha fatto di Bologna, per un giorno, la capitale italiana della lotta antimafia. Decine di migliaia di donne e uomini (200 mila secondo gli organizzatori) hanno sfilato ieri mattina dallo stadio al centro storico per la ventesima giornata della memoria e dell’impegno per le vittime innocenti delle mafie. In tutto poco meno di 4 chilometri che il serpentone ha percorso con la testa alta e la schiena dritta. «Camminiamo insieme per chiedere verità e giustizia» ha detto il fondatore di Libera, don Luigi Ciotti. Più tardi in una piazza VIII Agosto gremita all’inverosimile, don Luigi ha sferzato la politica dettando una fitta agenda di impegni da assumere (leggasi: leggi da approvare, ndr) per contrastare efficacemente le mafie. Perché «non c’è più tempo».

Il corteo

In testa, come da tradizione, lo striscione di Libera con lo slogan scelto per la giornata: «La Verità illumina la giustizia». A reggerlo ci sono i familiari delle vittime innocenti delle mafie. In oltre 600, sono arrivati a Bologna coi pullman della polizia e della Forestale, poco dopo le nove, provenienti da Rimini dove hanno passato la notte. Ognuno con un’immagine del proprio caro ucciso: c’è chi la porta visibile in un cartello appeso al collo e la mostra ai passanti, chi l’ha impressa sulla maglietta bianca e la sfoggia con orgoglio, chi la tiene in mano con rispetto e discrezione e chi la conserva nel cuore e la mostra solo a parole.
Verità e giustizia: è questo binomio che spinge le stanche gambe dei coniugi Agostino, genitori dell’agente Antonino, ucciso insieme alla giovane moglie a Palermo il 5 agosto del 1989. Il padre Vincenzo ha i capelli e la barba lunghissimi: non se la taglia da quel 5 agosto: «Lo farò solo quando avrò avuto giustizia per i miei morti (nell’agguato, oltre al figlio Antonino, fu uccisa anche la moglie incinta, ndr)» spiega mentre cammina per le strade medievali del centro con accanto la moglie e un nipote.

Poco più indietro ci sono i familiari di Antonio Landieri, ucciso nella faida di Scampia. Sono circa una decina: c’è anche una giovane che spinge una carrozzina. Portano tutti una maglietta bianca con su scritto il suo nome. Antonio è stato ucciso per errore mentre in rione Sette Palazzi stava giocando a calcio balilla con alcuni amici. Sono stati scambiati per degli spacciatori. Gli assassini non sono ancora stati individuati. «Non vogliamo essere qui per ricordarlo in maniera malinconica – dice suo cognato -, vogliamo fare memoria attiva. Queste morti non devono essere inutili, la nostra testimonianza deve fare sì che certe cose non accadano più».

A poca distanza c’è un altro napoletano, Giuseppe Miele, fratello di Pasquale, ucciso a Grumo Nevano nel 1989. «La nostra famiglia aveva una fabbrica di abbigliamento. Ci siamo rifiutati di pagare il pizzo e loro hanno deciso di fare un’azione intimidatoria. Hanno sparato contro le finestre. E’ così che mio fratello è stato colpito ed è morto sotto gli occhi di mia madre e di mio padre».
Nel lungo serpentone che segue i familiari ci sono i giovani delle scuole, gli amministratori di Avviso Pubblico, i sindacalisti della Cgil e della Fiom, ma anche della Cisl e della Uil. Ognuno riconoscibile ma rigorosamente senz’altra bandiera che non sia quella di Libera.

I nomi che graffiano

Il corteo, partito dallo stadio poco dopo le 9.30, procede a singhiozzo, alternando pause a momenti in cui il passo si fa veloce. Come sottofondo, dal camioncino elettrico in testa, la lettura dei nomi delle 1035 vittime innocenti della mafia, del terrorismo e delle stragi. Gli stessi nomi che in piazza VIII Agosto una staffetta di politici, sindacalisti, personalità dello spettacolo, autorità, familiari e semplici cittadini ha letto prima del discorso conclusivo di don Ciotti. «Tutti i nomi, non solo quello di mio fratello – dice Giuseppe Miele -, vengono a graffiare dentro ognuno di noi, vengono a graffiare le nostre coscienze, a spingerci a fare qualcosa per migliorare la nostra società». La prima a salire sul palco è stata la presidente della commissione antimafia Rosy Bindi; l’ultimo l’ex procuratore di Torino Giancarlo Caselli che, dopo aver pronunciato l’ultimo nome, quello del giuslavorista Marco Biagi, ha detto: «A voi va la nostra memoria e il nostro impegno affinché la verità possa illuminare la giustizia». A quel punto, la commozione delle decine di migliaia di persone giunte in piazza si è sciolta in un lungo applauso.

Il discorso

Don Luigi Ciotti sale sul palco poco dopo le 12.30. Ha con sé un piccolo plico di appunti. «La democrazia è incompatibile con il potere imposto o con il potere segreto. Per questo non può restare il dubbio che ci sia stata una trattativa con la mafia». La piazza applaude, a più riprese. «Certe leggi non riescono a passare, ma quella sulla responsabilità civile dei magistrati è passata, eccome se è passata» incalza don Luigi che chiede più strumenti e risorse per la magistratura e le forze di polizia impegnate nelle inchieste sulla criminalità organizzata e la corruzione.

Dal palco, e con la forza delle 200 mila persone giunte da tutta Italia, il fondatore di Libera detta alla politica gli impegni per passare dalle parole ai fatti: approvazione di una legge sulla corruzione, sul falso in bilancio, sulla prescrizione. Il tutto senza mediazioni, senza negoziati con quelle forze che si oppongono a queste leggi. «Chi non vuole una legge sulla corruzione fa un favore ai mafiosi, ai potenti, alle lobby» dice don Ciotti. E poiché «la corruzione è la più grave minaccia alla democrazia e l’avamposto delle mafie» bisogna colpire duro.

«Le mafie dialogano con le imprese, condizionano la politica, sono trasversali»: «non si può parlare di infiltrazione, ma di occupazione dei territori» da parte dei clan. Insomma, nessuno può più dire, anche al nord, anche in Emilia, «io non sapevo». «Il processo di liberazione non è finito, ci vuole una nuova resistenza» dice don Ciotti che, pur senza citarlo, attacca anche il leader della Lega Nord Matteo Salvini: «Vorrei dire a chi si è tanto preoccupato di cacciare i migranti dal paese, che bisogna cacciare i mafiosi e i corrotti».

Per colpire al cuore le mafie, ha sempre sostenuto Libera, bisogna colpire i patrimoni dei mafiosi. E quindi sì ai sequestri dei beni mafiosi e sì all’affido degli stessi alla collettività. Ma ora che la crisi ha lasciato senza lavoro milioni di giovani e non solo, bisogna agire per ridurre la povertà. «Ci vuole una legge per il reddito minimo o di cittadinanza: possibile che l’abbia tutta Europa tranne la Grecia e l’Italia?».

Tutti impegni da rispettare in fretta perché, come ricorda don Ciotti citando don Primo Mazzolari: «Rischiamo di morie di prudenza in un mondo che non può più attendere».

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