Preoccupazioni metodologiche e storiografiche percorrono tutto il volume (curatore e prefatore le evocano infatti nei loro testi), interrogandosi sul fascismo come esperienza italiana peculiare e/o come modello di regime reazionario di massa.
Ma alla base dell’antologia Il fascismo giorno per giorno. Dalle origini alla marcia su Roma nelle parole dei contemporanei (a cura di Giovanni Scirocco, prefazione di David Bidussa, presentazione di Giovanni Scirocco, Feltrinelli, pp. 352 euro 13), c’è un’idea più originale che ne rende appassionante la lettura. Il libro raccoglie testi di natura disparata che dalla metà del 1917 al 1 novembre 1922 accompagnano fatti – noti e meno noti e qui sottoposti a insolite interpretazioni – che il curatore ha ritenuto «significativi nel tentativo di spiegare come si sia giunti all’affermazione del fascismo».

AGLI INTERVENTI, numerosi, di Mussolini sul Popolo d’Italia (a partire dalla spiegazione del cambio di intitolazione della testata il 1 agosto 1917), agli articoli dell’Avanti!, ai discorsi parlamentari soprattutto socialisti e agli articoli del Corriere e della Stampa – il cui diverso orientamento nei confronti dal nascente fascismo risulta particolarmente netto in questo «corpo a corpo» quotidiano -, rispondono le scarne e significative note di militari, sindaci e prefetti che informano la classe dirigente nazionale con una chiarezza da cui emergono sia le violenze costanti dei fascisti, sia le connivenze delle forze dell’ordine (soprattutto dei militari nelle loro fila), sia le diverse posizioni rispetto al ruolo dello Stato e l’interpretazione del nazionalismo nella ricostruzione del Paese. Violenze attestate pure nel volume Inchiesta socialista sulle stragi dei fascisti in Italia, a cura di Paolo Mencarelli (Biblion, Milano 2019).

IN QUESTO CONTRAPPUNTO emergono i percorsi che portano alla disfatta uno dei movimenti socialisti che meglio aveva saputo trasferire, anche elettoralmente, l’ostilità o l’indifferenza popolare alla guerra traducendola in rifiuto politico. Chi si interessa soprattutto di comportamenti e culture dei mondi del lavoro non può che leggere con passione questi passaggi, per le analogie sociali con altre esperienze in cui crisi della stessa natura ebbero, al momento, soluzioni politiche opposte.
È noto (e le presentazioni lo ricordano) che nell’interpretazione del fascismo sono presenti sia la ricerca di un autentico modello da affermare, pur nella mutevolezza delle formule economiche, sia la sua spiegazione per i problemi di lungo periodo della classe dirigente italiana, già emersi e mai definitivamente risolti, nonostante la parentesi giolittiana, nella «crisi di fine secolo».
Nel «fascismo giorno per giorno» emergono entrambi gli aspetti. Comprese le interpretazioni che animeranno le discussioni storiografiche sul fascismo come: prodotto della mobilitazione della piccola borghesia (con tutte le difficoltà nella definizione economica e non semplicemente sociologico-culturale di questa espressione) o reazione del capitale nella sua fase imperialistica; come prodotto antropologico della brutalizzazione bellica o, ancora, reazione a un movimento socialista a sua volta fattore di instabilità e di sfida all’autorità dello stato.

EMERGE «giorno per giorno» l’affermazione violenta del nazionalismo e si manifesta con l’esclusione delle minoranze linguistiche nel fascismo «pionieristico» del confine orientale, che si sviluppa nella interpretazione dei nemici politici (inizialmente maggioritari nella popolazione) come stranieri. Seguiamo i percorsi davvero «ni droite ni gauche» nel senso polemico di Zeev Sternhell di Mussolini, dal discorso di Dalmine dove ancora prevale la centralità dei produttori, alla rivendicazione senza riserve della violenza antisocialista dove la Nazione degli interventisti si arroga il diritto di sostituire lo Stato; ne cogliamo l’abilità tattica nel legittimare anche una sconfitta clamorosa come quella delle elezioni del novembre 1919. Seguiamo le riflessioni di Salvemini e di Salvatorelli sulla sostituzione di questo stesso Stato con la Nazione o meglio col mito di quest’ultima, mentre emergono interessi di classe impossibili da rimuovere dal campo.
Particolarmente lucidi – non meno del «rapporto sul fascismo per il IV congresso dell’Internazionale» di Togliatti, che fa chiarezza nel contesto di una analisi del Komintern e di un uso del termine fascista da parte dei partiti comunisti spesso poco rigorosi e puramente polemici – gli interventi di deputati socialisti come Treves, Matteotti ed Emilio Canevari (22 marzo 1922).

LA SUA LETTURA di una reazione economica ma anche antropologica spiega in tutti gli anni Trenta analoghe adesioni grande borghesi al fascismo «plebeo»: «l’agricoltore che a capo del comune deve cedere il posto al suo bifolco al suo cavallante, al suo dipendente umilissimo al quale deve chiedere la firma per un certificato era una troppo forte umiliazione! Per cui si doveva sentire il bisogno violento di liberarsi di quella che essi chiamano la schiavitù, la catena loro posta dal proletariato». E Matteotti sottolinea le scadenze dei patti agrari come momenti centrali della grande storia politica (gennaio 1921). Nel frattempo, emergono i problemi di definizione di ceti e classi, dei conflitti sociali nei pubblici servizi, e Mussolini passa da agitatore «robusto sebbene affetto da sifilide», guardato da un ispettore generale di Ps con quella diffidenza spesso rivolta ai sovversivi di estrema destra, a interlocutore prima dei prefetti e poi dei governi e della monarchia.
Un bilancio storiografico, dunque, che suggerisce riflessioni attuali su come si manifesta e si sviluppa una crisi di regime.