Visioni

Corpi e identità di genere: danza come libera espressione

Corpi e identità di genere: danza come libera espressioneMarion Barbeau e Antonin Monié in «Hard to Tell» – foto di Giuseppe Distefano

A teatro Al Dap Festival di Pietrasanta in scena nuove coreografie con Mavin Khoo e Marion Barbeau

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 luglio 2023
Francesca PedroniPIETRASANTA (LUCCA)

La danza come mezzo per esplorare con il corpo l’intreccio tra culture apparentemente distanti dando libertà d’espressione alla identità di genere. È un duetto che affonda la sua drammaturgia in una storia di vita, Man (or) God di Mavin Khoo, danzatore nonché storico collaboratore a Londra di Akram Khan, coreografo cardine tra kathak indiano e danza contemporanea. Nato in Malesia, Mavin Khoo è un danzatore incisivo, cultore del Bharatanatyam da quando era piccolissimo, complice l’aver incontrato a soli dieci anni il guru e maestro indiano Adyr K. Lakshman.
Man (or) God, andato in scena al DAP Festival di Pietrasanta nello spazio a cielo aperto del Chiostro di Sant’Agostino, vede interagire Mavin Khoo con il danzatore spagnolo Hector Ferrer. A firmare le coreografie sono C. Joy Alpuerto Ritter, autrice anche lei cresciuta nella compagnia londinese di Akram Khan, e lo stesso Akram, un mix di sequenze intervallate da un bel film di Maxine Dos proiettato in alto sopra gli archi del Chiostro.

Mavin Khoo

LE IMMAGINI regalano al pubblico un gioco di dettagli su mani e corpo che anticipa la relazione del duetto d’amore tra i due uomini con una ritualità sacra e purificatoria. Mavin Khoo racconta apertamente che il duo nasce da una riflessione su sé stesso, indiano e queer, e sul passaggio, attraverso la danza, a una dimensione divina in cui il desiderio incontra la spiritualità. Avvolti da luci morbide che trascolorano dal blu al rosso, i due danzatori trasformano il riferimento alla biografia di Khoo in qualcosa di più universale che il corpo rende visibile nel dar voce alle due differenti culture d’origine di movimento, quella classica indiana, di cui Mavin Khoo è pungente interprete, e quella contemporanea occidentale. Un incontro di tecniche che nella fluidità trasformista parla in realtà di persone e società in cammino.

«Man (or) God» e «Hard to Tell», intrecci e culture apparentemente distanti

NEL CONTEMPORARY Dance Gala, in scena sempre al DAP, ha confermato la sua particolarissima sensibilità interpretativa Marion Barbeau, prima ballerina dell’Opéra di Parigi, con una carriera in ascesa al cinema dopo il successo dell’anno scorso nel film En corps di Cédric Klapisch. Al DAP ha danzato il duo Hard to tell dell’israeliano Shahar Binyamini in coppia con Antonin Monié, altro artista dell’Opéra di Parigi. Il pezzo è un’immersione nell’intimità del corpo danzante durante il momento dell’atto creativo: un bel duo che vibra in Barbeau come un flusso di sensuali sottigliezze, estatico quanto selvaggio.

“Deux à tiroir” di Emanuela Tagliavia, foto di Giuseppe Distefano

Tra i titoli in scena, spicca per l’efficace relazione tra musica e danza Deux à tiroir di Emanuela Tagliavia, ideato per la prima ballerina Alice Mariani e il solista Mattia Semperboni del Teatro alla Scala. Un viaggio ispirato alla scultura di Salvador Dalì Femme à tiroir su musica di Giampaolo Testoni e Richard Wagner (estratti da L’oro del Reno e La Valchiria), fremente nella tenuta del gesto e delle pose dinamiche, portavoce nel binomio tra coreografa e interpreti di uno stato eroico dell’essere di incantevole segretezza.

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