Corpi appassionati nello spazio scenico
A teatro Tredici interpreti in «Theatre of Dreams» a firma di Hofesh Shechter, per Torinodanzafestival
A teatro Tredici interpreti in «Theatre of Dreams» a firma di Hofesh Shechter, per Torinodanzafestival
Buio. Luce. Sipari neri che si aprono e si chiudono in una nebbia color ambra. Un ritmo di immagini governato dalla successione di battenti tagli registici, di cues, nette fratture propositrici di improvvisi fermo immagine o di finestre su danze già in essere. Tredici interpreti mossi da un’energia istintiva, potente nel dare visione a individualità che insieme diventano società.
Questo ed altro in Theatre of Dreams, 90 minuti di danza, musica dal vivo, sipari in movimento a firma di Hofesh Shechter. Coreografo, musicista e compositore israeliano di base a Londra da decenni con la sua Hofesh Shechter Company, con Theatre of Dreams Shechter è ancora stasera alle Fonderie Limone di Moncalieri per Torinodanza Festival intitolato quest’anno Dance First nella acuta direzione di Anna Cremonini, mentre domani dalle 16, al Teatro Massimo di Torino in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema, il festival propone Hofesh on the Screen. Si parte con Political Mother – The final cut (Best Dance Film a Cannes nel 2022), Lights, Camera… Clowns (2018), il corto Return nato per la compagnia di Eric Gauthier a Stoccarda, e, alle 18, per la regia di Cédric Klapisch, l’imperdibile film di finzione La vita è una danza, protagonista Marion Barbeau e la compagnia di Shechter.
MA TORNIAMO allo spettacolo. Theatre of Dreams, coproduzione internazionale commissionata a Shechter dal Théâtre de la Ville di Parigi, gioca sulla sollecitazione dello sguardo e dell’immaginario. Shechter: «voglio che il pubblico sia cosciente del fatto che quello che vede è falso e che quello che crede di vedere è il risultato dei suoi pensieri e delle sue proiezioni». L’arte, come diceva Picasso «è una menzogna che ci permette di afferrare la verità».
Lo spettacolo inizia così con un danzatore che ha alle spalle un sipario nero tra i due lembi del quale si infila. Lo si segue con gli occhi, curiosi di scoprire cosa ci sia al di là della tenda. Shechter, coadiuavato dal disegno luci di Tom Visser e dalla collaborazione alle scene di Niall Black, con i suoi formidabili tredici danzatori e tre musicisti, spiazza di continuo le aspettative.
Dai molti sipari posizionati in vari punti del palco, escono danzatori e musicisti
I sipari sono tanti, posizionati a diverse profondità della scena. Creano aperture di diversa dimensione e collocazione, da dove compaiono, a volte come tableaux vivants in successione, i danzatori, tutti vestiti in abiti colorati, e i musicisti in completo rosso. Tromba, sax, flauto, tamburello, tastiera, chitarra: la partitura, dello stesso Shechter, è percussiva, nutrita di sonorità in cui echeggia anche l’Oriente, è ad alto volume (distribuiti tappi auricolari), incalzante come se spronasse dall’interno i corpi.
I DANZATORI tengono il baricentro basso che mantiene saldo il contatto e l’affondo nella terra, come fosse un gancio con lo stare in vita, mentre il busto, le braccia, la testa abitano un vorticoso movimento tra spirali centripete e centrifughe. Essere umani dai corpi appassionati, guerrieri di bellezza nello spazio scenico. La loro danza travolge, sembra che possa rinascere sempre nei corpi uniti degli interpreti, nonostante le fatiche, le cadute, i dolori, la disperazione.
Nella mente restano schegge di immagini, senz’altro diverse per ogni spettatore, ma certo è che la vigoria di una possibile forza propositrice tra esseri umani di ogni provenienza e cultura batte nel lavoro. Il pubblico è invitato a danzare in scena a metà spettacolo, cosa che la prossimità tra spettatori e interpreti data dallo spazio delle Fonderie Limone facilita con allegria.
MA NON È una trovata di superficie: nella mente resta quel drappeggio chiaro che fa da sfondo al finale, una sorta di grande drappo funereo che i danzatori guardano fermi, di schiena al pubblico, prima che la danza ancora una volta riprenda, spronata dal movimento di una interprete che via via coinvolge tutti i danzatori in una coreografia collettiva. Un’energia che arriva nei corpi con la sua speranza.
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