Corm: «In Libano Israele e Saud mirano alla guerra civile»
Medio Oriente Intervista allo storico ed ex ministro delle finanze libanese: «Difficile dire quale sarà il futuro politico del governo di unità: Beirut sta fronteggiando una tripla pressione saudita, americana e israeliana. Proprio come nel 2006»
Medio Oriente Intervista allo storico ed ex ministro delle finanze libanese: «Difficile dire quale sarà il futuro politico del governo di unità: Beirut sta fronteggiando una tripla pressione saudita, americana e israeliana. Proprio come nel 2006»
I recenti avvenimenti legati alle dimissioni di Saad Hariri e alla crisi diplomatica tra Libano e Arabia saudita, rischiano di provocare nuove instabilità in tutta la regione, già provata dai conflitti in Siria e Yemen. Per approfondire questi argomenti il manifesto ha intervistato il celebre storico ed ex ministro delle Finanze, il libanese Georges Corm, autore di libri come «Il Libano Contemporaneo» e il recente «La nouvelle Question d’Orient».
Come giudica la recente crisi diplomatica tra il Libano e l’Arabia saudita?
Non la considero una crisi, ma una vera e propria aggressione del principe ereditario saudita (Mohammed Bin Salman, ndr) contro il Libano per il fatto di aver rapito e sequestrato, durante queste due settimane, il primo ministro in carica Saad Hariri e per avergli imposto di dimettersi da primo ministro, lontano dal suo paese, con delle dimissioni scritte non di suo pugno. Un qualcosa di mai visto prima!
Dopo circa un anno, l’elezione del presidente della repubblica aveva permesso al Libano di uscire da un lungo periodo di instabilità istituzionale. Come spiega le dimissioni di Hariri?
Pur essendo stato rilasciato dal principe ereditario, dopo le pressioni europee (francesi e tedesche, ndr), del presidente della repubblica libanese Aoun e del ministro degli esteri Bassil, Hariri continua a essere una pedina nelle mani dei sauditi visto che alcuni membri della sua famiglia sono ancora in Arabia e continua a essere sotto il loro controllo per diverse ragioni, soprattutto economiche e finanziarie.
Si può collegare quello che sta avvenendo alla «conclusione» del conflitto in Siria?
No, non credo, penso che sia piuttosto la situazione in Yemen a essere la causa scatenante dell’aggressione. L’Arabia saudita sta fallendo in tutti i suoi progetti: che siano in Siria o in Yemen. Il regno adesso è governato dal giovane principe ereditario che si è arrogato tutti i poteri nel paese con un colpo di stato, con l’arresto di numerosi principi della famiglia reale e di importanti uomini d’affari, derubati delle loro fortune economiche.
Quali sono state le prime reazioni delle differenti forze politiche che componevano il governo Hariri? In particolare per il movimento «14 Marzo» e il partito Mustaqbal?
A parte qualche isolata voce dissidente all’interno del partito di Hariri e le Forze Libanesi (di Samir Geagea, ndr), che sono pro-saudite e pro-americane, c’è stato una formidabile risposta di unità nazionale alla crisi. Lo stesso Hezbollah in queste settimane ha mantenuto un profilo di dialogo e mediazione ed è considerato dalla maggior parte dei libanesi come una reale risorsa di difesa (da Israele e gruppi jihadisti, ndr) per il paese, come è avvenuto in questi anni.
Quale sarà il futuro politico del Libano, della presidenza Aoun e del governo di unità nazionale?
È molto difficile rispondere a questa domanda. Il Libano sta fronteggiando in questo momento una tripla pressione saudita, americana e israeliana. Stessa situazione a quella del 2006, quando gli Usa hanno avallato e sostenuto l’aggressione israeliana di 33 giorni contro la Resistenza libanese (Hezbollah), che aveva liberato nel 2000 il Libano meridionale occupato da Israele dal 1978. Nel 2006 Hezbollah ha resistito a questa nuova aggressione ed è riuscito ad infliggere delle perdite considerevoli all’esercito israeliano. Nonostante la volontà di rivincita da parte di Tel Aviv, il governo Netanyahu ha dichiarato che non farà una guerra «su commissione» per l’Arabia saudita.
Nel suo libro «La nuova questione d’Oriente», scrive che l’attuale questione mediorientale è una «questione occidentale». Cosa intende?
Sì, diciamo che il problema principale dipende dall’intervento delle potenze occidentali negli affari della regione del Vicino e del Medio Oriente, zona considerata strategica e fondamentale nella geopolitica mondiale. Il problema attuale deriva dal fatto che numerosi paesi arabi hanno accantonato la loro indipendenza a causa del sostegno economico dei paesi del Golfo o degli Stati uniti. La Lega Araba, da cui la Siria è stata esclusa nel 2012, segue ciecamente la politica dei sauditi, degli Usa e della Nato. Gli unici paesi, Iraq e Algeria, contrari a decisioni che spesso vanno contro gli interessi dei paesi arabi vengono messi ai margini della Lega.
C’è il rischio concreto di un nuovo conflitto tra il Libano e l’asse Israele-Arabia saudita?
Penso che la Resistenza libanese sia riuscita ad ottenere un «equilibrio del terrore» con Israele dopo il 2006. Tel Aviv sa che attaccare il Libano ed Hezbollah forse è rischioso. Attualmente gli sforzi sauditi, israeliani e americani spingono, oggi come nel 2006, sul fatto di sperare piuttosto di provocare una guerra civile tra libanesi. Penso, però, che coloro che mirano e pianificano una destabilizzazione del Libano si sbaglino, come è già avvenuto in passato.
Perché il conflitto tra il Libano, Hezbollah in particolare, e l’Arabia saudita non è solamente un conflitto tra sunniti e sciiti?
Come mi succede di spiegare spesso, solo degli ingenui potrebbero pensare a uno scontro interconfessionale e religioso. Tutti i conflitti nella storia sono frutto di ambizioni politiche ed economiche da parte di governanti e politici che ricorrono alla religione solo per giustificare le guerre che conducono. Lo stesso avviene nel conflitto per l’egemonia in Medio Oriente tra Iran ed Arabia saudita.
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