Cultura

Conversazioni sulla giustizia penale e i suoi protagonisti

Conversazioni sulla giustizia penale e i suoi protagonistiUna installazione di Antony Gormley

SCAFFALE Percorso di letture attraverso due volumi recenti: «Una fragile indipendenza», di Paolo Borgna e Jacopo Rosatelli (edito da Seb27) e «Perché abolire il carcere», di Livio Ferrari e Giuseppe Mosconi (edito da Apogeo)

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 15 giugno 2021

Quattro autori, quattro diverse biografie per due libri che affondano le mani sui temi della giustizia penale, del carcere e dei suoi protagonisti. Un magistrato (Paolo Borgna) e un giornalista e insegnante (Jacopo Rosatelli) conversano intorno alla magistratura e alla sua fragile ma necessaria indipendenza (Una fragile indipendenza, Edizioni SEB 27, pp. 136, euro 15). Un professore universitario, sociologo, studioso della pena e delle sue ambiguità (Giuseppe Mosconi) rilancia insieme a Livio Ferrari (attivista, giornalista, cantautore, francescano) il manifesto abolizionista No prison (Perché abolire il carcere. Le ragioni di «No Prison», Edizioni Apogeo, pp. 105, euro 15). In ogni dialogo, quando autentico, non c’è un vincitore né un detentore monopolista della verità. Attraverso la lettura di alcuni scambi è possibile affrontare grandi temi quali la giustizia, i rapporti tra governanti e governati, i limiti del diritto al potere, la funzione della legge nella società, il senso delle pene. I dialoghi, tanto più tra personalità provenienti da mondi diversi, ci permettono di procedere lentamente, e senza scorciatoie semplificative.

LA CONVERSAZIONE tra Jacopo Rosatelli e Paolo Borgna, magistrato per lunghissimi trentanove anni a Torino, si dipana in quel difficile confine tra politica e giustizia, tra media – vecchi e nuovi – e società. Il libro ha la forma del dialogo, ma ha la forza di un viaggio intorno ai dilemmi di una sinistra che da vari decenni non ha trovato la chiave di lettura per interpretare la funzione della giustizia penale in un mondo come quello odierno, dove l’assenza di corpi sociali intermedi ha dato forza all’offerta populistica e a quel circolo vizioso mediatico-politico nel quale non vi è spazio per quelle riflessioni ponderate e profonde sul garantismo che, viceversa, si leggono nel libro. Ecco, per capire come districarsi tra corruzione e enfasi investigativa, tra abusi nelle indagini e giustizia di classe, tra disonesti e criminali, tra consorterie di potere e ruolo strategico e nobile dell’associazionismo politico nella magistratura, Rosatelli e Borgna, con parole diverse ma esito condiviso, suggeriscono di tornare alla teoria garantista e democratica di Luigi Ferrajoli.
Altra sarebbe stata la storia se solo le forze progressiste, liberali e genericamente di sinistra, anziché inseguire la piazza, si fossero affidate nel cuore degli anni ’90 al pensiero di Ferrajoli, al suo spiegare come il diritto penale nasca per porre un limite alla violenza delle pene e dei delitti e non per costruire le basi dell’internamento di massa.

PROBABILMENTE la linea culturale delle forze progressiste sarebbe stata più riconoscibile. Invece abbiamo visto, anche a sinistra, avallare prese di posizioni a favore di politiche repressive, violente, potenzialmente razziste come quelle delle Broken Windows di Rudolph Giuliani.
Negli anni in cui Giuliani da sindaco di New York, emulato anche da noi, predicava la tolleranza zero contro chi viveva nelle periferie urbane (chi non ricorda le ordinanze fiorentine contro i lavavetri trattati alla stregua di pericolosi criminali), Thomas Mathiesen, sociologico norvegese purtroppo da pochissimo scomparso, lanciava l’opzione abolizionista del diritto penale e del carcere.

IL LIBRO scritto da Livio Ferrari e Giuseppe Mosconi non si limita a riproporre la dottrina penale abolizionista ma la fa propria ripubblicando un manifesto che aveva già visto la firma del compianto Massimo Pavarini. Si legge nel Preambolo: «Due retoriche spingono oggi il carcere ad assumere un ruolo centrale sulla scena politica e sociale italiana, proponendolo come riferimento fondamentale all’opinione pubblica. Una cultura punitiva e persecutoria contro ogni illecito che sia espressione di marginalità e vulnerabilità sociale, enfatizzato come nemico e pericolo pubblico, e una cultura giustizialista che attribuisce alla persecuzione penale il ruolo di principale rimedio contro i mali che affliggono il sistema politico ed economico nazionale: corruzione, speculazione, distrazione di denaro pubblico, criminalità organizzata, etc. Di contro a questa crescente centralità il carcere manifesta più che mai la sua assoluta inadeguatezza, non solo non riuscendo ad assolvere alle sue funzioni fondative, il cui fallimento storico è evidente, ma dimostrandosi totalmente inefficace nella soluzione delle questioni attribuitegli».

ECCO IL FILO ROSSO che lega i due libri: quella cultura punitiva e anti-garantista che ha elevato il carcere a strumento onnivoro diretto al consolidamento del consenso politico e sociale, non riuscendo ad assecondare lo scopo normativo assegnatogli. L’abolizionismo, nelle parole di Ferrari e Mosconi, viene sottratto dal campo dell’utopia e posto nel mondo delle opzioni possibili. Direi che è un percorso più che un singolo atto. Un percorso che non può prescindere, aggiungo, da una rivoluzione antropocentrica.

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