Cultura

Conversazioni impreviste e in forma di lettera

Conversazioni impreviste e in forma di lettera

SCAFFALE «Il pensiero affettivo», di Ginevra Bompiani e Sarantis Thanopulos per Feltrinelli

Pubblicato circa un mese faEdizione del 9 ottobre 2024

Interrogarsi su cosa sia un epistolario oggi, prevede di convocare un genere all’apparenza desueto. Eppure la storia ne è colma, quella «grande» e quella più quotidiana. Ancora più inattuale può apparire lo scambio fitto tra due intellettuali, una scrittrice ed editrice con uno psicoanalista. Cosa accomuna, dunque, l’intenzione di Ginevra Bompiani e Sarantis Thanopulos nel loro libro Il pensiero affettivo (Feltrinelli, pp.128, euro 17) con ciò che è anzitutto un proponimento dialogico? Una corrispondenza, la ricerca di una comunicazione profonda nella complessità di una relazione che il confronto impone, fuori dalle sintesi e dalle poltiglie che gli scambi contemporanei dettano.

Prendendosi un tempo lento, sostanza di quel pensare insieme che spesso manca, il volume è la composizione di tale accostamento, il cui pungolo è la passione del riflettere. Le lettere di Bompiani stanno nella prima parte del libro e quelle di Thanopulos nella seconda; se ne potrebbe immaginare una scomodità di lettura, giacché ciascuna è una risposta all’altra. Eppure l’effetto sortito è di una dislocazione fluida del discorso che si apre all’imprevisto consegnato dall’altro e dall’altra, una interlocuzione che può esistere ma anche venire meno, restando senza riscontro. In un ascolto anzitutto di sé stessi, consapevoli di un’alterità lettrice consistente.

L’AVVIO della conversazione lo porge Ginevra Bompiani, una sua idea secondo cui «l’affetto è una forma del pensiero». Definizione «fuggevole», per sua stessa ammissione. E rilevante, si potrebbe aggiungere, soprattutto quando viene scandagliata dalla autrice e rimandata dall’autore che, in prima battuta, risponde: «in psicoanalisi è un dato di partenza che all’inizio della vita affetto e pensiero coincidano». Si chioserebbe che le questioni, i nodi, arrivano dopo e talvolta non sono riparabili.

La mappa di riferimenti suggeriti va da Spinoza a Freud, da Winnicott a Damasio, passando per Eraclito, Jane Austen e Hannah Arendt, così tra aneddoti, insidie, contraddittori e repliche siamo dinanzi a uno scambio in cui a giocarsi, ancora prima della declinazione dell’affetto, è lo statuto del pensiero, del logos e della cosiddetta «ragione determinante il mondo», delle sue leggi – prima che delle sue forme. Di quanto cioè sia decisivo avere chiaro quanto resti, ad esempio, di un pensiero banalizzato, o, peggio, scotomizzato da ciò che rivelano le vite, non solo umane ma dei viventi.

E riguardo l’affetto, assistiamo a una valenza semantica talmente ampia che il posizionarsi di Bompiani e Thanopulos, ancora una volta, lo si può percorrere come una interessante e non comune carrellata di nomi, luoghi e occorrenze stringenti dall’aspetto letterario e poetico a quello clinico.

IN QUEST’EPOCA di oltraggioso abbandono e violenza, l’affetto può essere pensato distante dai corpi? Soprattutto dei corpi che non contano? Può essere discusso nell’astrazione distante dalla vulnerabilità cui assistiamo? O non sono forse i corpi a impastarsi nel tempo di quel pensiero, insieme alle nostre esistenze? Dove sta allora il piacere di un tale riconoscimento, della scoperta dell’affetto che non può dirsi slegato dal sentire e dalla emozione? A tutto questo Thanopulos e Bompiani non si sottraggono aprendo ad altrettanti interrogativi, incarnati e per questo politici.

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