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Contrordine: «Italiani, via dalla Libia»

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Coas libico Verso la chiusura anche l’ambasciata. Il ministro degli Esteri Gentiloni: «Pronti a combattere». Il paese è fuori controllo. Dopo Derna, gli islamisti radicali affiliati allo Stato islamico conquistano Sirte

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 14 febbraio 2015

Il giorno dopo le dichiarazioni di Matteo Renzi sull’urgenza di un nuovo intervento in Libia, l’ambasciata italiana, una delle ultime rappresentanze diplomatiche rimaste aperte a Tripoli, ha chiesto agli italiani di lasciare il paese. E nella serata di ieri non veniva esclusa l’opportunità di chiudere l’ambasciata stessa. Duro il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni: «Per ora sosteniamo il tentativo di mediazione tra le diverse forze in Libia da parte dell’Onu , ma se fallisse siamo pronti a combattere, in un quadro di legalità internazionale».

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Amarcord: un miliziano anti-gheddafi a Sirte nel 2011

In virtù dell’accordo siglato nel 2008 tra il colonnello Muammar Gheddafi e l’ex premier Silvio Berlusconi, l’Italia avrebbe potuto assumere un ruolo centrale nel determinare la politica libica dopo le rivolte che hanno attraversato il Medio oriente nel 2011. Invece, per pressioni che forse lo stesso Berlusconi avrebbe subito dall’allora ministro degli Esteri Franco Frattini, in accordo con l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, l’Italia concesse le sue basi per i disastrosi attacchi della Nato del 2011, voluti da Francia e Gran Bretagna, che hanno fatto a pezzi il paese ora spaccato tra Tripolitania, Cirenaica e deserto del Fezzan.

Da quel momento le autorità italiane hanno fatto fatica a recuperare terreno vedendo sempre più in pericolo gli interessi che l’ex colonizzatore aveva nel paese, in particolare in materia di accordi petroliferi, a favore di compagnie francesi e inglesi. Per questo non stupisce che, malgrado il caos, l’ambasciata italiana di Tripoli sia rimasta una delle ultime in funzione.

Tre sono le motivazioni principali di questo tentativo di recuperare terreno in extremis da parte delle autorità italiane (che hanno di fatto dato il via libera all’attacco armato del 2011 contro gli interessi italiani): tornare a contenere l’influenza delle fazioni islamiste violente sull’altra sponda del Mediterraneo, arginare il flusso di migranti in fuga verso l’Europa e mantenere i rifornimenti di gas e greggio.

È importante aggiungere che questi stessi obiettivi hanno segnato i rapporti italo-libici negli ultimi trent’anni. Ma quella strategia è fallita e si è aperto il vaso di Pandora: la Libia è fuori controllo, i pozzi petroliferi sono contesi tra militari e islamisti, non si fermano le stragi di migranti nel Mediterraneo e i jihadisti hanno il controllo di due città di importanza centrale per il paese: Derna e ora anche Sirte.

Gli islamisti radicali che si rifanno alla galassia dello Stato islamico (Isis) hanno fatto irruzione proprio ieri nella sede di Radio Sirte, nella città che si trova a 500 chilometri a est di Tripoli. E hanno stabilito il loro quartier generale in un edificio del centro. L’emittente ha anche cominciato a trasmettere proclami del portavoce della formazione, Abu Mohammed al-Adnani, e discorsi del leader dell’Isis in Iraq Abu Bakr al-Baghdadi.
A Sirte però si spartiscono il territorio anche le milizie di Ansar al-Sharia. E così pure l’Egitto di al-Sisi ha avviato l’evacuazione degli egiziani in seguito alla diffusione di una foto in cui 21 cristiani copti, rapiti nel gennaio scorso proprio a Sirte, si vedono minacciati dai jihadisti dell’Isis. Nel febbraio 2014, i corpi di sette egiziani copti vennero ritrovati su una spiaggia vicino Bengasi.

La roccaforte dei jihadisti in Libia continua ancora ad essere però la città orientale di Derna, che ha ora un’organizzazione amministrativa autonoma a cui capo siede Abu al Baraa al-Azdi, di origini yemenite. A Derna sono attive anche la brigata Rafallah al Sahati, 17 febbraio e l’esercito dei mujahedin. Anche questi gruppi dichiarano la loro fedeltà ai jihadisti dell’Isis.

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