Nella storica battaglia delle donne italiane per una legge contro l’atroce scia di sangue degli aborti clandestini, non ricordo di aver mai incontrato le giorge meloni dell’epoca. Le militanti dei partiti della sinistra, quelle del partito radicale, dei movimenti cattolici in dissenso dalla Dc, e naturalmente dei movimenti femministi, erano tutte partecipi di quella battaglia di civiltà.
Il Movimento Sociale Italiani (Msi) della fiamma tricolore, nei secoli fedele al motto “Dio, patria, famiglia”, che ancora oggi alimenta la propaganda di Fratelli (le sorelle devono attendere tempi migliori) d’Italia, era schierato sul No alla legge, insieme agli oltranzisti cattolici. Ieri seguaci dell’integralista Carlo Casini oggi sostenitori di Simone Pillon.

Anche allora le falangi nere avvolgevano la loro falsa coscienza nelle bandiere della difesa della vita, anche allora dicevano di voler aiutare le povere donne a non abortire, proponendo i loro orrifici dépliant: l’adozione presso famiglie caritatevoli, il ricovero in istituti religiosi, o, per le più dure di cuore, direttamente i feti in bella mostra nei barattoli di vetro.
Solo chi ha scarsa memoria può meravigliarsi delle recenti affermazioni della giovane leader di FdI sull’interruzione di gravidanza, perché ricalcano quelle nefaste, colpevolizzanti processioni antiabortiste. «Dare un’alternativa a una donna che abortisce per motivi economici non significa diminuire i diritti ma allargarli».

Le consigliamo allora di darsi da fare nelle regioni amministrate dalla sua coalizione e dal suo partito (Umbria Marche in primis) dove l’obiezione di coscienza, da sempre l’arma più odiosa e subdola contro la legge, è la regola anziché l’eccezione. Nel Lazio, contro l’obiezione, il presidente Zingaretti dovette indire una specie di concorso per soli medici non obiettori.
Saremmo curiose di sapere cosa ne pensa Meloni della tortura (a fin di bene s’intende), maturata nelle mente malata di Orban (e ripresa, come denunciano Sinistra Italiana e Verdi, proprio nelle strutture sanitarie umbre), di far ascoltare il battito del cuore prima dell’aborto. Del resto, dopo averla vista nel famoso e famigerato comizio all’assemblea dei neofranchisti spagnoli di Vox, non servirebbe aggiungere altro. Anzi, le forze democratiche avrebbero fatto bene a diffonderlo in ogni occasione di questa pallida campagna elettorale.

Meloni paragona il momento attuale al passato («Non abbiamo una situazione così diversa da quella che i nostri nonni avevano nel Dopoguerra»). Può essere vero per molti aspetti, e probabilmente il 25 settembre ci riserverà l’amaro calice di queste destre al governo, in un paese che affonda le sue più nobili radici nel 25 aprile del 1945. Avremo modo di tornare sulla crisi dei partiti e della sinistra, sulla grave responsabilità del Pd di averci condotto a questo punto con la sua vergognosa legge elettorale, con la sua fallimentare politica delle alleanze.

Ma di una cosa siamo certi. Dentro un panorama sociale dove vecchie e nuove povertà disarmano le lotte sociali mentre gonfiano le vele delle destre sovraniste, razziste e patriarcali, le Meloni, i Salvini e i Berlusconi devono sapere che di fronte a un attacco al diritto di aborto, qualunque fascistoide maggioranza bulgara avrebbe vita breve.