Il nuovo decreto per l’emergenza coronavirus è in fase avanzata di costruzione, arriva dopo pasqua, e il contributo del gruppo Pd della camera, pronto da tempo e condiviso dal segretario del partito Zingaretti, non poteva restare sotto traccia.

Così il capogruppo Delrio ieri ha svelato l’idea messa a punto dal capo delegazione dem in commissione bilancio Fabio Melilli: un contributo di solidarietà per i redditi delle persone fisiche superiori agli 80mila euro (lordi l’anno).

Una sovrattassa temporanea – due anni – progressiva – dal 4% per i redditi tra 80 e 100mila si arriva all’8% per quelli oltre il milione -, calcolata sulla parte dei redditi che eccede la soglia. Utile a garantire un gettito di oltre un miliardo l’anno da destinare, secondo il Pd, «a tutti coloro che versano in situazioni di povertà a causa della crisi o in situazioni di grave difficoltà per la perdita completa del reddito».

L’iniziativa arriva in una giornata in cui la maggioranza fa già parecchia fatica a spiegare l’attivazione del Mes, fin qui sempre esclusa, e a litigare al suo interno sullo stesso argomento. È quasi un regalo per la propaganda della destra, che la ribattezza «patrimoniale» malgrado si tratti in tutta evidenza di una tassa sui redditi. Ma non resistono alla forzatura polemica neanche Italia viva e i 5 Stelle e non basta l’appoggio, nemmeno troppo entusiasta, che arriva da LeU.

Così alle agenzie una fonte anonima del Nazareno offre una difesa debole: «Sapevamo che c’era una discussione all’interno del gruppo su questo tema. Non è certo uno scandalo pensare a chi è più in difficoltà».

C’è stato, spiegano dal gruppo parlamentare Pd che condivide la proposta «quasi all’unanimità», tutt’al più un problema di coordinamento con la segreteria del partito sul momento in cui lanciare l’idea del contributo di solidarietà. Di certo si è trattato di un tentativo dei deputati dem, spesso schiacciati da renziani e grillini, di recuperare l’iniziativa. Tentativo condiviso dal capo delegazione del partito al governo, Franceschini, a giudicare dai protagonisti.

Immediatamente si è alzato un muro, ed è un peccato perché si tratta di una proposta davvero progressiva. Niente affatto una patrimoniale, eppure a Conte nella conferenza stampa la presentano così e lui risponde: «Il governo non ha fatto propria nessuna proposta di patrimoniale né è all’orizzonte. Ne ho sentito parlare per la prima volta oggi».

«Chi ha di più deve dare di più per sostenere chi non ha nemmeno le risorse per alimentarsi – difende la proposta Melilli – non vedo lo scandalo se viene chiesta qualche decina di migliaia di euro a chi guadagna due o tre milioni l’anno». E dal gruppo Pd si ricorda al centrodestra, Lega compresa, che un contributo del genere lo aveva pensato il ministro Tremonti.

Il riferimento dovrebbe essere al 2011, quando l’ultima manovra dell’ultimo governo Berlusconi ipotizzò una sovrattassa assai simile, che fu però cambiata in fase di conversione del decreto andando a colpire solo i redditi sopra i 300mila euro.

Il gettito previsto dalla proposta del gruppo Pd consentirebbe allo stato di recuperare, al netto della quota di Irpef e addizionali locali perduta con la deducibilità, oltre 1,2 miliardi nel 2021 e nel 2022. Tre volte la cifra che Conte e Gualtieri sono riusciti a destinare ai comuni per i buoni spesa degli indigenti. La tassa garantirebbe anche un più modesto introito di 500 milioni quest’anno grazie agli acconti (si riferisce infatti ai redditi dal 1 gennaio 2020, in deroga al principio che le disposizioni tributarie non sono retroattive).

Colpirebbe circa 800mila contribuenti e tra loro sopratutto i più ricchi. Il 55% del gettito totale sarebbe infatti a carico di coloro i quali dichiarano più di 200mila euro l’anno, che rappresentano solo il 10% di tutti quelli che superano gli 80mila. Il contributo pro capite netto sarebbe di 110 euro per i redditi più bassi e di 54mila per quelli oltre il milione.

Ragionamenti che gli alleati del Pd liquidano in poche battute. «È sempre più il partito delle tasse», dice il renziano Faraone. «Si tagliassero lo stipendio i parlamentari» aggiunge il 5 Stelle Crimi. Dimenticando di aggiungere che, calcoli suoi, quel taglio demagogico potrebbe recuperare appena 60 milioni.