“Contratto alla Squinzi? No, modello Landini”
Intervista Il segretario delle tute blu Cgil: «Noi proponiamo rinnovi ogni anno, come avviene in Germania». Gli aumenti non possono diventare una variabile pura: non solo inflazione, ma anche andamento del settore e del Pil. Le imprese investano e chiudano le vertenze già aperte, «altrimenti il Paese non può mai ripartire»
Intervista Il segretario delle tute blu Cgil: «Noi proponiamo rinnovi ogni anno, come avviene in Germania». Gli aumenti non possono diventare una variabile pura: non solo inflazione, ma anche andamento del settore e del Pil. Le imprese investano e chiudano le vertenze già aperte, «altrimenti il Paese non può mai ripartire»
No, il nuovo modello contrattuale che ha in mente il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, a Maurizio Landini non piace proprio. «Di fatto – ci spiega il segretario generale della Fiom Cgil – riduce il ruolo del contratto nazionale e sottrae autonomia a quello aziendale». Troppo spazio alla variabile della produttività, insomma, che soprattutto, per stessa ammissione di Squinzi, è verificabile solo a posteriori. Le tute blu Cgil però non dicono solo “no”: hanno in mente un contratto alternativo, e Landini lo descrive in questa intervista.
Squinzi propone uno scambio tra maggiore salario e più flessibilità nelle mansioni, legando gli aumenti del contratto nazionale alla produttività. Per questo Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno già aperto un tavolo “tecnico”.
Sinceramente in quel tavolo io non ci vedo nulla di “tecnico”. Di fatto Squinzi propone una riduzione del ruolo del contratto nazionale, peggiorando le condizioni di lavoro con un aumento delle flessibilità a cui dovrebbe corrispondere qualche soldo. Inoltre, se sarà il contratto nazionale a stabilire a priori quello che dovranno fare gli accordi aziendali, si toglie autonomia alla contrattazione nei luoghi di lavoro. Non è quello di cui i lavoratori e il Paese hanno bisogno in questa fase così difficile.
Che modello proponete voi?
Come metalmeccanici, nella piattaforma Fiom, abbiamo avanzato una contrattazione annua del salario, modello peraltro già vigente in Germania. Il riferimento non può essere più solo l’inflazione, ma deve essere anche l’andamento del settore e quello del del Paese, e il rapporto tra salario e prestazione del lavoro. Questi ultimi sono due elementi che non puoi scollegare l’uno dall’altro: la produttività è fatta di diversi fattori, dagli investimenti all’innovazione dei processi, delle tecnologie e del prodotto, fino alla formazione e alla qualità del lavoro. E il contratto nazionale non si deve porre solo l’obiettivo di tutelare il potere di acquisto, ma anche di aumentarlo, quando le condizioni lo permettono.
Con l’inflazione ferma o in calo le imprese addirittura richiedono i soldi indietro ai lavoratori.
Sì ma i soldi indietro non li richiedano alla Cgil, che non ha mai firmato l’accordo del 2009 che basava gli aumenti solo sull’inflazione e sull’Ipca. Leggo che Squinzi giustifica gli investimenti degli industriali solo sulle imprese che esportano, per il fatto che solo quelle vanno bene, perché il mercato interno non riparte. Forse non ha pensato che sarebbero proprio gli aumenti contrattuali ai lavoratori che potrebbero far ripartire la domanda interna? Da sommare, aggiungiamo noi, a robusti investimenti pubblici che rilancino più in generale il Paese.
Quindi non accettate moratorie sui rinnovi oggi in discussione? Confindustria chiede che prima si concordi un nuovo modello.
Nello schema attuale non c’è alcun modello. Ci sono però piattaforme già presentate, percorsi di consultazione aperti con i lavoratori, su questo le imprese ci devono dare risposte. Io sto a quello che si è votato finora nei direttivi della Cgil: la nostra confederazione ha deciso che non si discute di nessun nuovo modello se prima non si rinnovano i contratti in corso. Questo ovviamente non ci impedisce di concordare già adesso, in sede dei contratti da rinnovare per le singole categorie, delle innovazioni importanti.
Per esempio?
Intanto, come ho già detto, proponiamo la sperimentazione di rinnovi salariali annuali. Poi noi stiamo chiedendo che si misuri subito, applicandolo fin dal nuovo contratto con Federmeccanica, la rappresentanza sul piano degli iscritti e dei voti. Ma Fim e Uilm su questo punto ci hanno detto di no, e adesso procedono con una propria piattaforma. Inoltre, ed è un discorso già avviato ad esempio in Emilia Romagna, chiediamo alle imprese di non applicare il Jobs Act, perché è una legge che a nostro parere ha svalutato il lavoro.
Questo nel rinnovo attuale. E per un prossimo, eventuale, modello?
Siamo per ridurre e unificare i contratti: nell’industria ce ne sono troppi. Il contratto nazionale deve mantenere il ruolo di autorità salariale, diventando il riferimento per un minimo legale di categoria. Inoltre, deve tutelare tutte le forme di lavoro: anche i precari, anche i lavoratori degli appalti e dei subappalti. In questo periodo ci sono state tante polemiche sulle statistiche, ma se ne è taciuta una: nei primi sette mesi dell’anno sono aumentati del 10% i morti sul lavoro. Allora, io dico che i più deboli non riesci a tutelarli nel secondo livello – che peraltro riguarda solo il 20% delle imprese italiane – ma puoi tenerli dentro, includerli, solo se parli di loro nei contratti nazionali. A parità di mansioni io devo avere parità di salario e di diritti: ferie, malattia, riposi, infortuni. Infine, sulla rappresentanza, ok a delle regole condivise tra le parti, ma la Fiom continua a ritenere che per tutelare pienamente il diritto dei lavoratori a scegliersi il sindacato che vogliono e a votare tutti gli accordi che li riguardano, sia necessaria una legge.
Papa Francesco ha chiesto alle parrocchie di accogliere i profughi. Tante famiglie stanno offrendo la propria casa. La Fiom metterà a disposizione le sue sedi?
Da tempo noi diciamo che non è più solo il momento del parlare, ma che si deve agire, accogliere concretamente. Da un lato non dobbiamo mai dimenticare l’importanza di rivendicare nuove politiche, sull’accoglienza e l’asilo, da parte del governo italiano e dai governi europei. Dall’altro, però, noi stessi stiamo cercando di intervenire. Io penso ad esempio che i famosi 35 euro messi a disposizione dalla Ue, ogni giorno per un migrante, potrebbero essere dati anche alle singole famiglie che scelgono di mettere a disposizione la propria casa. La Fiom sta ipotizzando nei territori, dove possibile, di mettere a disposizione mense, uffici, sedi, e so che lo stesso accade in tante camere del lavoro italiane.
Dopo la tempesta vissuta da Tsipras e Syriza, e le difficoltà di Podemos, l’inglese Corbyn sembra riscattare le possibilità di una sinistra europea. Voi vedete spazi?
Io mi sono stancato di ragionare per vecchie etichette, destra e sinistra. I fatti greci non sono una sconfitta di Tsipras, ma la sconfitta e l’assenza di una socialdemocrazia europea, che ha permesso la vittoria del pensiero unico liberista e di Merkel. Assolutamente sì, io penso che ci siano spazi per chi crede nella democrazia, nella partecipazione, nel lavoro, nel welfare, nei diritti civili. E lo dimostra il fatto che tantissima gente non va a votare e non si sente rappresentata da questa politica. A maggior ragione ritengo importante la battaglia del sindacato per il contratto nazionale e la democrazia nei luoghi di lavoro: perché è un ambito in cui si gioca la possibilità di partecipare per tutti e di unificare i diritti.
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