Dopo aver realizzato uno degli album più personali e mistici della sua carriera, Dead Bees On A Cake (1999), David Sylvian inaugura il nuovo millennio e la sua personale etichetta Samadhisound con un lavoro di profonda rottura. Si tratta di Blemish (2003), dove l’autore è coadiuvato da musicisti colossali quali Derek Bailey e Christian Fennesz. Esso abbandona la forma canzone tradizionale per una sorta di improvvisazione libera, basata su spunti o bordoni elettronici sperduti, spaesati, su cui si leva la voce di Sylvian, in un cosmo alieno dove la mente dell’artista sembra galleggiare nel suo stesso pensiero.
I testi, poetici ma tetri, a volte sarcastici, pieni di riferimenti intimi, riguardano anche il dolore per il divorzio dalla moglie Ingrid Chavez. Quella di Sylvian è una poesia di asserzioni e rimandi difficilmente decifrabili se non intuitivamente; raramente leggiadra, più spesso legata a un senso di profondo disagio. The Good Son Vs The Only Daughter (The Blemish Remixes) non è un semplice album di remix e rifacimenti delle canzoni di Blemish. Grazie a musicisti d’eccezione come Burnt Friedman e Ryoji Ikeda, diventa un’altra cosa: i brani risultano più spogli, intimi, autunnali. I testi, poetici ma tetri, a volte sarcastici, pieni di riferimenti intimi, riguardano anche il dolore per il divorzio dalla moglie Ingrid Chavez.

LE INTUIZIONI di Sylvian hanno raggiunto un vertice che lo rimette al centro della scena. Nonostante ciò il disco successivo, a nome Nine Horses (cioé Sylvian, il fratello Steve Jansen e Burnt Friedman), Snow Borne Sorrow, rappresenta un passo indietro verso atmosfere pop-jazz e aggiunge poco a a quanto già detto. E’ semmai più interessante l’ep Money For All, sempre a nome Nine Horses, che sfodera un funky dalle tessiture postmoderne.Manafon (’09) è un Blemish avaro di elettronica, con la voce di Sylvian volutamente sgraziata che corrode i limiti delle dimensioni musicali, mentre lo sfondo è per lo più acustico, desolato, desertico, totalmente avulso in piani onirici. L’opera è dolente e tratta della perdita della fede dell’artista, che è induista e buddhista sui generis, ma è anche una sorta di doloroso invito, rivolto prima di tutto a se stesso, a rimettere in discussione le convinzioni più fondamentali. Died In The Wool – Manafon Variations, realizzato soprattutto grazie a un nuovo amico di Sylvian, il compositore giapponese Dai Fujikura, presenta orchestrazioni germinate a partire da canzoni di Manafon e scarti di studio da quelle session. Ne risulta un album molto più diversificato, complesso, psicologico.

SYLVIAN inframmezza questi lavori con altri più d’avanguardia (soprattutto musica per installazioni, ma non solo), come il lungo e semietnico alternarsi di bordoni di When Loud Weather Buffeted Naoshima (’07) o la confessione oscura e sognante pronunciata dal poeta Franz Wright nel sottile, semiacustico There’s A Light That Enter Houses With No Other House in Sight (’14). Sono opere che testimoniano il sempre più evidente allontanamento di Sylvian dal pop. Gli album di David Sylvian di questo periodo, a partire da Blemish, oltre a un estratto rielaborato di 18 minuti dell’installazione omonima When We Return You Won’t Recognize Us (’09), e un supporto comprendente l’ep Money For All e altri singoli ed ep, per un totale di 10 cd, sono ora raccolti nel lussuoso cofanetto Do You Know Me Now? Samadhisound 2003-2014, con incluso un ricco libretto.