Continua a Roma l’esposizione «Lacus Iuturnae»
Archeologia Non solo Foro Romano
Archeologia Non solo Foro Romano
La leggenda tramanda che durante la battaglia del Lago Regillo (V secolo a.C.) Castore e Polluce apparvero ai Romani per guidarli alla vittoria contro i Latini. Si narra, inoltre, che il trionfo fu annunciato dai Dioscuri presso la sorgente di Giuturna, dea originaria di Lavinio.
L’esposizione temporanea «Lacus Iuturnae» (6 marzo – 20 settembre 2015) – promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma con Electa – celebra il luogo di quel racconto epico degli albori di Roma. Le acque del lacus Iuturnae, salutari e sacre alla ninfa con la quale i Romani personificarono la fonte, scaturivano ai piedi del Palatino, tra il tempio di Vesta e quello dei Càstori. Nel II secolo a.C. attorno alla sorgente fu innalzato un bacino rettangolare, nella cui vasca Giacomo Boni – pioniere degli scavi al Foro e scopritore del Lapis Niger – rinvenne nel 1900 i frammenti di un gruppo scultoreo raffigurante i Dioscuri e databile alla fase di monumentalizzazione della fontana (168 a.C.).
Le statue, forse intenzionalmente abbattute nell’antichità e in seguito ricomposte, rivivono oggi – assieme ad altri cinque elementi ornamentali pertinenti al lacus – nella suggestiva cornice del Tempio di Romolo. Un nuovo intervento di restauro eseguito in occasione della mostra conferisce armonia alle opere, sebbene l’utilizzo di malte per colmare le lacune tenda a esaltare le parti autentiche. L’allestimento, curato dall’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, vede Castore e Polluce con i rispettivi cavalli a prender luce dalla lanterna barocca del tempio circolare; l’ara risalente al II secolo d.C. – che presenta sui fronti principali i Dioscuri in nudità eroica e una figura femminile con fiaccola (forse Giuturna) – è invece il fulcro attorno al quale ruotano, così come doveva essere in passato, le sculture.
Il parapetto in marmo bianco del pozzo (puteal), dedicato alla ninfa in età augustea, è posto all’ingresso del tempio mentre il pregevole esemplare di Apollo arcaizzante (I-II secolo d.C.) chiude la scena alle spalle dell’altare, quasi fosse il guardiano di un tempo perduto. Anche l’area archeologica, ubicata a pochi passi dall’edificio intitolato a Valerio Romolo, è stata opportunamente riaperta al pubblico: la sua interpretazione è complessa, a causa degli sterri effettuati da Boni ma gli studi dell’Institutum Romanum Finlandiae hanno permesso di approfondire l’aspetto topografico nonché la valenza politica e cultuale del sito. Allo stato odierno restano distinguibili il bacino con al centro il calco dell’ara, un’edicola sacra – verosimilmente il sacello dedicato a Giuturna – e la struttura in mattoni dell’amministrazione delle acque (statio aquarum) risalente al III secolo d.C. Una ricostruzione immaginaria ma emozionante facilita dunque un percorso tra miti e tracce archeologiche. Una passeggiata da suggerire in particolare ai cittadini della capitale, i quali – spesso indifferenti alle rovine che pur li circondano – potranno andare alla scoperta della più importante fra le fontane di Roma. Meno nota di quelle elogiate a inizi ’900 nel poema sinfonico di Ottorino Respighi ma scrigno prezioso delle acque «parlanti» dell’urbe.
ABBONAMENTI
Passa dalla parte del torto.
Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento